Nelle primarie dei Repubblicani sono in testa tre outsider, primo fra tutti Donald Trump. Cresce nell’opinione pubblica il rifiuto dei “professionisti”
Quanto conta il potere di persuasione della élite del Partito Repubblicano sui suoi elettori? Sempre meno, se guardiamo che cosa sta accadendo nella corsa per la nomination dei conservatori americani. Tre dei dodici candidati alle primarie - l’immobiliarista Donald Trump, l’ex manager Carly Fiorina e l’ex neurochirurgo Ben Carson - non sono professionisti della politica e nei sondaggi raccolgono insieme più del 50 per cento dei favori degli elettori.
Cos’è che non va al vertice del Partito Repubblicano? È assai probabile che si sia inceppato quel meccanismo che mette insieme il messaggio veicolato dai media tradizionali (giornali e televisioni) e quello delle attività interne al partito: combinati insieme operano una scrematura dei candidati suggerendo capacità e potere, tanto da convogliare l’attenzione degli elettori e, soprattutto, i soldi dei finanziatori. Questo gioco, nella campagna che porterà allo scontro tra un democratico e un repubblicano nel novembre del 2016, non funziona più.
I tre che sono al vertice dei sondaggi hanno poco o niente in comune con l’establishment del partito conservatore. Nessuno dei tre è un politico di professione o ha alle spalle l’esperienza di un incarico elettivo, da quello di consigliere comunale fino a quello di senatore: secondo la media ponderata elaborata dall’organizzazione RealClearPolitics, Donald Trump raccoglie il 23,6 dei consensi, Ben Carson il 19,6 e Carly Fiorina il 7,8. Trump ha più del doppio dei consensi di senatori e governatori radicati sul territorio che mesi fa, prima dell’inizio della corsa, venivano indicati come favoriti. Un esempio? Jeb Bush, ex governatore della Florida, un padre e un fratello ex presidenti degli Stati Uniti è all’8 per cento dei consensi. Un altro su cui punta il partito, il senatore della Florida Marco Rubio, ha toccato il 10 per cento dei favori.
I tre non politici che guidano le danze hanno aumentato il loro consenso offrendo ai potenziali elettori tutto ciò che rientra nella categoria del politicamente scorretto. Trump è volato nei sondaggi non appena ha bollato gli immigrati clandestini del Messico come «criminali, spacciatori di droga e stupratori». La Fiorina ha guadagnato parecchi punti nel secondo dibattito quando ha promesso, una volta eletta presidente, di ricostruire «la flotta della marina militare», di «non parlare con Vladimir Putin» e di inondare il Medio Oriente di armi. Carson non ha perso un solo decimale dopo aver fatto dichiarazioni in serie contro i musulmani decretando che uno di loro non può essere presidente degli Stati Uniti.
Gli elettori conservatori amano questi discorsi e si riconoscono in una corrente che ormai domina il partito, i cosiddetti Tea Party, fatta di disprezzo per il governo centrale, fastidio per le tasse e per gli intellettuali e voglia di disfare ogni legge che ponga limiti all’arbitrio personale, a cominciare dal possesso delle armi. Questa corrente è largamente rappresentata nel Congresso dai deputati e senatori repubblicani che si riconoscono nel Freedom Caucus e che hanno licenziato solo un mese fa il loro leader, lo speaker della Camera John Boehner. Che se una colpa aveva è stata quella di aver promesso ai parlamentari e agli elettori conservatori cose che non avrebbe mai potuto ottenere: dalla cancellazione della riforma sanitaria di Barack Obama (ha avuto l’imprimatur della Corte Suprema) a una riforma dell’immigrazione di stampo conservatrice. In compenso, è riuscito nell’intento di danneggiare il Paese con due serrate delle attività di governo per il rifiuto di trovare un accordo sul budget con i democratici.
Se uno dei tre candidati non politici di professione dovesse davvero vincere le primarie ed essere lo sfidante nella corsa alla Casa Bianca, l’America rischia per la prima volta nella sua storia di avere un presidente che non ha mai ricoperto un incarico elettivo o di governo prima di entrare nell’Ufficio Ovale. Quindi perfettamente ignorante su che cosa significa governare. Dei 43 presidenti che si sono succeduti dal 1789 ad oggi, 37 erano politici di lungo corso, tre erano generali e tre eroi di guerra o ex ministri o alti funzionari dello Stato.
Questo è lo stato odierno del Partito Repubblicano. E appare corretta la riflessione del columnist Eugene Robinson sul “Washington Post”: «Nel Partito Democratico la battaglia è ideologica, la sinistra contro il centro sinistra. Ma nel Patito Repubblicano lo scontro è di tipo esistenziale».