Martone inventa una Carmen napoletana?al passo con i cambiamenti della società
27 marzo 2015
Nei giorni scorsi il regista Mario Martone ha presentato il suo spettacolo sulla Carmen di Bizet al teatro Argentina di Roma. Come gli accade spesso, l’ha trasformato da opera lirica in “pièce” teatrale senza però rinunciare del tutto alla musica, affidata all’Orchestra di Piazza Vittorio, che a sua volta ha trasformato anche la musica, non la melodia ma i ritmi, la strumentazione e l’uso dei vari brani che illustrano una vicenda del tutto diversa dal libretto usato dal grande compositore francese. Il dramma non si svolge a Siviglia ma in una Napoli del dopoguerra, Carmen non viene uccisa ma accecata e la si vede talvolta giovane e altre volte vecchia e brancolante nel buio. Nella vecchiezza cieca acquista una strana saggezza che spesso sconfina nella follia e con lei si trasformano gli altri personaggi, invecchiano ma di nuovo ringiovaniscono con continui “flashback” che a volte avvengono contemporaneamente dividendo la scena in due.
Questo è il genio di Martone che avevamo già visto in precedenti spettacoli, l’ultimo dei quali aveva come soggetto Giacomo Leopardi. A quanto si sa il nostro regista sta preparando un Macbeth shakespeariano che ancora non sappiamo come ci sarà presentato e in che epoca e in quale luogo collocato.
Qui però, nell’opera di Martone, c’è un tema che Bizet ha affrontato in modo molto diverso: la Carmen di Bizet è una ragazza leggera e bizzarra che si innamora di numerose persone molto diverse tra loro durante brevi incontri più erotici che sentimentali. Proprio per questa rapidità di percorso anche i suoi amanti non sono innamorati di lunga durata. Questo significa che Carmen è una puttana? Nell’opera di Bizet non è una puttana; è una giovane che cerca l’amore duraturo ma non lo trova e continua quindi a cercarlo con soggetti diversi. A un certo punto crede di averlo trovato perché è lui, José ad essersi innamorato di lei e lei corrisponde a quel sentimento cambiando anche residenza, abbandonando il loro lavoro e affrontando una vita di stenti e di pericoli. Diventano contrabbandieri per riuscire a sfangare la vita. Ma Carmen alla lunga non sopporta più un’esistenza affondata nella povertà, nella solitudine, nella tristezza. Incontra il torero e lascia José che sentendosi umiliato e abbandonato la uccide.
Nella “pièce” di Martone le cose non vanno così. La Carmen napoletana è una puttana non perché prenda denaro dagli uomini con i quali si congiunge, ma ne condivide i successi, la notorietà di cui godono, gode per i doni che le fanno. Il torero è il vertice di questa scala sociale, incanta tutti i giorni il pubblico dell’arena, rischia tutti i giorni la vita ma trionfa sempre sul toro che si infuria al rosso che lo provoca. Questo vuole Carmen e anche se il torero non l’ama affatto, lo usa come un possesso ostentabile e così fa lui nei suoi confronti.
Ma Martone va oltre e scopre che la sua Carmen si vende e si innamora, porta dentro di sé una profonda contraddizione, l’innamoramento ha sempre una contropartita ma anche la contropartita fa nascere l’amore, che sia corrisposto oppure no. «È l’amore uno strano augello» canta nell’opera di Bizet. E Martone sviluppa quel verso e lo teatralizza in un personaggio molto complesso, la cui natura diventa sempre più visibile nella Carmen vecchia e cieca che approda a una sorta di auto-psicanalisi e filosofeggia sull’amore delle donne.
Vorrei a questo punto aggiungere una mia osservazione. Concordo pienamente con l’interpretazione di Martone sull’amore delle donne nei confronti degli uomini, ma a quali donne storicamente Martone si riferisce? Alle donne tradizionali, di marca flaubertiana e stendhaliana che sono ancora larga parte delle società occidentali e in particolare della nostra? Donne fiere, che hanno combattuto per acquisire i loro diritti di eguaglianza dei generi ed hanno cominciato ad esercitarli raggiungendo anche posizioni elevate nella politica, nelle imprese, nelle professioni e nella pubblica amministrazione? Va detto che esercitando con efficacia quei diritti, hanno però anche acquisito alcuni valori maschili. La differenza dei generi è in buona parte scomparsa, ma contemporaneamente si è attenuata anche la differenza dei valori e quindi anche il modo di comportarsi e vivere l’amore.
Una seconda osservazione riguarda la psiche e i comportamenti che essa ispira alle donne dell’attuale generazione; parlo delle giovani e giovanissime che oggi hanno tra i diciassette e i ventitré anni. Questa è una generazione completamente diversa da quelle che l’hanno preceduta, in particolare per ciò che riguarda l’amore, che ha assunto un dominante contenuto erotico.
Le giovani e giovanissime sono in gran parte cacciatrici, esattamente come i giovani uomini. I maschi per millenni si sono definiti cacciatori, sia nel senso letterale del termine, sia in senso metaforico: andavano in caccia di cibo ma anche di donne in modi molto simili a quelli degli animali dai quali la nostra specie proviene.
Il fatto nuovo di oggi è che anche la donna è cacciatrice limitando la durata dei suoi incontri che possono ripetersi per qualche settimana o qualche mese ma anche soltanto per una sola notte. Questo nuovo personaggio femminile è già entrato nella letteratura e nel cinema e tende ad aumentare con rapidità. Da questo punto di vista l’amore ha cambiato veste e la realtà ha perso in gran parte le sue caratteristiche sentimentali. L’amore romantico è diventato assai raro, andiamo verso un personaggio mitologico di tipo ermafrodita.
A noi vecchi questo cambiamento non piace, ma noi siamo sul viale del tramonto, possiamo soltanto cercare di capire quanto ci avviene intorno.