La politica non ha difeso i diritti delle persone nell’era dei mercati globali. E da qui traggono il loro consenso i vari Trump, Le Pen o Salvini
Il malessere che attraversa i Paesi occidentali ha il volto di politici improbabili. Inquietanti. Se Donald Trump, con la sua corte di miss passate e presenti, è l’idolo di un’America profonda, protezionista, in conflitto con la religione degli affari officiata a Wall Street, in Europa la francese Marine Le Pen, l’ungherese Viktor Orbán, l’austriaco Norbert Hofer e tutta la rete di capi e ducetti pronti ad imitarli impersonano gli architetti di nuovi muri, di lacerazioni antiche. Sembra quasi stiano tornando preponderanti le forze irrazionali della politica e della Storia, su cui a lungo un filosofo come Benedetto Croce ha riflettuto dopo i due conflitti mondiali del secolo scorso.
Che i fenomeni storici non si ripetano mai nelle stesse modalità, è più che certo. Il paradosso contemporaneo ha radici antiche, tuttavia. Il conflitto tra sovranisti e unionisti si alimenta di una nostalgia ingiustificata del passato (quando c’era la lira…, quando c’erano le frontiere…, quando eravamo padroni in casa nostra…). Ma va spiegato anche con i troppi errori nel processo di unificazione dell’Europa e del suo rapporto con l’alleato americano. Alla crisi degli Stati nazionali, e del più vasto concetto di comunità, nessuna tra le forze politiche novecentesche (cristiano-popolari e socialdemocratiche innanzitutto) ha saputo contrapporre una nuova idea di socialità comunitaria in grado di rispettare i diritti dell’individuo. Uno studioso crociano di ispirazione liberaldemocratica, Ernesto Paolozzi, ha recentemente sottolineato come le libertà classiche - dalla libertà di espressione a tutte le altre che caratterizzano lo stato di diritto - siano costantemente in pericolo anche nel mondo formalmente libero. Tutte le democrazie occidentali vivono infatti una crisi della rappresentanza e un indebolimento delle strutture liberamente elette per effetto congiunto del perdurare della stagnazione economica, della pressione sociale provocata dall’immigrazione di massa, della prevalenza dei poteri economico-finanziari transnazionali sulle volontà espresse dalle “piccole patrie”.
Per meglio comprendere i sommovimenti in atto nella pancia di un Paese, è interessante sottolineare la metamorfosi di un partito affermatosi in Italia a cavallo dei due secoli. La Lega Nord nata indipendentista e poi federalista con Bossi, oggi - dopo gli scandali del clan dell’Umberto - è con Matteo Salvini una formazione ultranazionalista e sovranista sul modello del Front National. Di fronte alla complessità e alla pluralità di un mondo globale, la risposta è tanto semplice e vecchia quanto impraticabile. Ma rischia di rendere abbastanza in termini elettorali.
D’altra parte gli eredi delle culture politiche europee che hanno garantito pace e benessere economico per 70 anni si stanno rivelando privi di idee, progetti, visioni. Se sempre più spesso conservatori e progressisti governano insieme - in Germania ormai da anni - con Grandi Coalizioni, sono costretti a farlo perché le basi parlamentari si assottigliano. E ancor più si assottigliano, agli occhi dei cittadini impauriti dalla crisi, le differenze di programma. Finendo per rafforzare ciò che si vorrebbe contrastare: il dilagare delle forze antisistema.
Sopravvivrà dunque l’Europa al Brexit? Al referendum sulla permanenza o meno nell’Unione della Gran Bretagna? Il 23 giugno il voto. Intanto una Ue sempre più debole affronta gli Stati Uniti nel Ttip, il trattato euro-americano di collaborazione commerciale. Qualcosa di enorme. Se ne parla poco o nulla da noi. Eppure a partire dal 30 maggio i parlamentari italiani potranno prender visione, in tutta riservatezza, dei documenti preparatori. È il motivo per cui dedichiamo la copertina di questa settimana a quello che abbiamo definito provocatoriamente un “patto avvelenato”. Inciderà, come si può leggere nel nostro dossier, in maniera pesante nella vita di tutti. In bene e in male. A partire da quel che mangeremo quotidianamente. Finirà perciò per spaccare l’opinione pubblica. Nuova linea netta di demarcazione tra sovranisti e unionisti. Nel piatto come nelle urne. Ecco dunque il nostro contributo a un dibattito finora trascurato.
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