Pubblicità
Opinioni
giugno, 2016

Al premier conviene un centro-destra forte

L’impressione, dopo il voto di domenica  nelle grandi città, è che Matteo Renzi  al ballottaggio con 5 Stelle potrebbe perdere

Mi sembrano ben pochi i risultati del 5 giugno atti a suscitare grandi sorprese. Non lo sono certo i dati sull’astensione. Che ci si poteva aspettare dopo il 37% delle regionali Emilia-Romagna? Giunti al fondo del 40-50% è possibile solo rimbalzare, come qua e là è pure avvenuto. A Roma, realisticamente, dopo i disastri della gestione Pd della crisi, il risultato di Giachetti dovrebbe apparire più che discreto. Che potesse poi vincere, Renzi era di sicuro l’ultimo a pensarlo. Lo stesso, mutatis mutandis , vale per la povera Valente a Napoli, dove la vittoria di De Magistris era scontata. Un ballottaggio in meno o in più non cambia nulla. Certo, se Fassino e Merola dovessero alla fine non farcela sarebbe catastrofe, ma la loro vittoria al ballottaggio, che mi azzardo a pronosticare, non suonerebbe che come una banale, anzi: faticosa, conferma. Qui il Pd ha moltissimo da perdere e nulla da guadagnare in termini di immagine complessiva.

E siamo dunque al punto che vado ripetendo dal momento della candidatura di Sala: è a Milano la vera partita. Qui davvero anche Renzi si gioca parte della pelle. Fino alla sera del 19 giugno, il giudizio politico generale su questa tornata deve perciò restare sospeso. Ciò vale per il partito di Renzi come per le disiecta membra del Destra-centro. L’ora dell’esito del duello tra Salvini e Berlusconi non è ancora suonata. Per quanto a pezzi, Forza Italia gode tuttora di rendite decisive per far vincere la coalizione, anche nei feudi leghisti. Non sarà mai più Berlusconi il candidato premier. Ma neppure potrà esserlo Salvini. Neo-Parisi cercasi? Dall’altra parte, il leader c’è e si vede; questo il grande vantaggio, che in elezioni politiche generali è destinato a pesare in modo decisivo. Per regionali e amministrative una forza politica centralizzata intorno al Capo e alla sua corte funziona fisiologicamente male. Facciamocene una ragione e restiamo sereni.

Sono altri i problemi politici generali che queste elezioni hanno messo a nudo. Ben più interessante del conto dei partecipanti al voto (misura in sé davvero “avara” della partecipazione alla vita politica) sarebbe un’analisi sull’aumento vertiginoso delle liste cosiddette civiche di ogni specie e colore. Un proliferare anarchico, il cui solo significato è lo sradicamento delle forze nazionali dai territori, l’accattonaggio di voti, appoggi e simpatie. Sintomo profondissimo della crisi di rappresentatività che connota più o meno tutti i sistemi democratici. Ciò provoca il seguente fenomeno, che sarebbe comico se non fosse tragico: in misura inversamente proporzionale al numero degli elettori aumenta il numero dei candidati. Migliaia e migliaia di candidati aspiranti “rappresentanti” per sempre meno “rappresentati”. Continuando così si arriverà a un momento in cui andremo a votare per votarci.

Ecco, allora, ciò che di questo voto sarebbe forse più interessante discutere. L’unica forza che si presenta ovunque in splendida solitudine sono i 5 Stelle. Dove per qualche ragione non sono in grado di farlo, rinunciano. È un messaggio “identitario” molto forte e controcorrente. Il loro linguaggio è ancora (anche se, oggettivamente, sempre meno) quello “irreale” fatto di analisi abborracciate, soluzioni semplici per affari complessi, promesse, ecc., proprio delle demagogie ovunque imperanti; ma tuttavia questa scelta, che tien fermo ovunque il logo del movimento, che evita ogni immagine di compromesso o trasformismo, è destinata a incidere e, penso, a convincere. Veltroni sembrava averlo capito all’inizio del mai nato Pd - per dimenticarsene dopo due mesi. Scommetto sarebbe questa la scelta che compirebbe Renzi se dovesse perdere il referendum.

Intanto, il tener duro sul proprio simbolo, lo stesso non voler correre ovunque per qualche sotto-poltrona, sono decisioni che si dimostrano propizie al formarsi nei 5 Stelle di figure e gruppi locali capaci di una certa rappresentatività e anche autonomia. Ora che il mago-inventore è ri-asceso al teatro, la varietà della leadership pentastellata può diventare un altro fattore distintivo del movimento da far valere contro l’inesorabile logorio del potente solo al comando.

Oggi come oggi, e con l’Italicum che si è inventato, Renzi non potrebbe che augurarsi una mini-rinascita del Destra-centro. In ballottaggio con i 5 Stelle temo che il suo astro si rivelerebbe una cometa.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità