Cos'è l'Italicum? Una legge elettorale maggioritaria? Un ponte costituzionale verso la dittatura democratica? Semplicemente un papocchio, mal scritto? Un ripensamento della sinistra che, finalmente, si è accorta che non vincerà le elezioni nemmeno stavolta? Tutto vero, tutto sbagliato. La risposta a questa domanda, per nulla semplice, non sta nella riforma elettorale in sé. Né sta nella mozione della maggioranza che ha aperto a modifiche, né sta nella proposta grillina di tornare alla Prima Repubblica con proporzionale e preferenze (due parole abbattute a colpi di avvisi di garanzia, monetine scagliate addosso e referendum nell’era di Tangentopoli). No, la risposta sta nell’immagine di copertina di questo numero de “l’Espresso”.
Un Silvio Berlusconi ritratto come l’avrebbe ritratto Andy Warhol, in stile Mao Tze-Tung, con uno sguardo fisso verso un futuro che fu incapace di costruire e i suoi nemici incapaci di liberare da lui. Una copertina che per la prima volta nella storia del nostro settimanale esce in quattro versioni diverse. Una citazione della pop art, ma anche una manifesta necessità di rendere cromaticamente la polivalenza del ragionamento che vi stiamo per fare. Un viaggio dentro il ventennio berlusconiano nella settimana in cui cade la data del 29 settembre, genetliaco del Cavaliere, o ex Cavaliere, di Arcore.
Ma anche, inevitabilmente, un viaggio dentro di noi, dentro i suoi storici oppositori, dentro le nostre cento copertine (raccontate qui da Bruno Manfellotto) dedicate all’uomo che abbiamo combattuto e che, in virtù della sua forza oscura, ha consentito al fronte sedicente democratico, progressista, legalista, moralista (un po’ troppo) di rimanere unito e di giocare dalla stessa parte del campo. Mentre oggi tutto questo è finito. È finito Silvio, è finita la capacità di coesione del progetto alternativo. Scomposto come una maionese impazzita in mille ingredienti, ognuno ottimo, ma incapaci di condire ideali, valori, sogni, aspettative, speranze, desideri, diritti di una intera generazione e di un intero Paese sbandato. E così la centesima copertina che “l’Espresso” dedica a Berlusconi esce in quattro colori, quattro sfumature, se vogliamo quattro sfaccettature dello stesso, irrisolvibile rebus: chi siamo diventati?
A guidarci dentro questa ispezione emotiva, politica, culturale e valoriale della “fu destra” e della “fu sinistra” è Ezio Mauro, che firma oggi per “l’Espresso” il suo primo articolo. Dalle colonne di “Repubblica”, nel 2009, sotto la sua direzione, Giuseppe D’Avanzo pose a Berlusconi, allora premier, dieci domande. Dieci domande che segnarono il momento più alto e intenso della contrapposizione culturale, prima ancora che politica, fra il nostro mondo e il mondo del Cavaliere (ora ex, per i maniaci della precisione). Alla fine del tempo, scrive Mauro, arriva l’undicesima domanda. Che ancora non vi sveliamo. Ma che segna la necessità di una svolta più profonda del Paese, se davvero vogliamo uscire dall’inerzia bellicosa in cui siamo finiti.
Ecco cos’è l’Italicum. L’ingenuo tentativo di un’Italia malata di un virus che si ostina a non riconoscere, di cercare nell’algoritmo elettorale (imperfetto per definizione) il collante a quella maionese. Un collante tuttavia incapace di sostituire berlusconismo e antiberlusconismo, come ci raccontano Massimo Cacciari e Marco Damilano nei servizi di Prima pagina.
Sarà pure una legge con mille storture, sarà pure giusto cambiarla, ma certamente siamo ipocriti se pensiamo che un correttivo percentuale infilato qua e là, una modifica alla tedesca, alla francese, alla spagnola possa ridarci l’equilibrio perduto. Perduto dopo una guerra dei vent’anni che ci ha mutati radicalmente. E che ancora non vogliamo ammettere nemmeno a noi stessi.