Stregoni, sondaggisti, analisti di tutto il mondo unitevi, indite un referendum, organizzate gli Stati generali della divinazione e dell’analisi, fate qualcosa. È il caso di resettare - e di corsa - gli algoritmi che delineano i nuovi leader. Sono di due tipi a quanto pare, eccezioni a parte. Quelli privi di un centro di coerenza permanente e pronti a rimangiarsi immediatamente tutto. E quelli che la fanno sporca, ma anche franca.
Prendiamo Theresa May. A Londra i giornalisti ricordano l’erinni del Remain e della Gran Bretagna dell’Unione, lancia in resta contro le teste calde del Leave infiammate da Nigel Farage, cavaliere anti Bruxelles, uomo dalla coerenza di uno stracchino che si è ben guardato dal lasciare i dobloni da eurodeputato.
Dopo l’esito del referendum, con una vertiginosa piroetta da Covent Garden atterrata a Downing Street da premier, ora ha indetto le elezioni a giugno per gestire al meglio l’uscita, insomma May si è rivoltata contro May, trasformandosi nella più assertiva lady Brexit. Come se Margaret Thatcher dopo la guerra avesse regalato le isole Falkland ai gringos argentini o Matteo Salvini facesse lo spot per i cannoli siciliani. Visti i tempi, non è detto che.
Londra ha dato il là. Ma nella categoria primeggia anche Washington e quindi il presidente Donald Trump. Aveva vinto con il vade retro Nato, inneggiando all’America First e al disimpegno Usa in politica estera. Poi con una pirotecnica marcia indietro, il neo presidente ha smentito Trump facendo il raccogli fondi per la Nato, aprendo tutti i fronti possibili, Siria, Iran e Russia e dulcis in fundo anche Corea del Nord e Kim Jong-un, un Ciccio Papero dittatore dotato di argomenti nucleari. Da isolazionista a guerrafondaio, Trump è in un fumante rimpasto d’idee.
Meno genere Risiko mondiale, anche l’Italia fa la sua parte grazie al Dna grillino. Il gran maestro Beppe Grillo dispensa dimostrazioni esemplari. Per segnalare solo l’ultima: dopo aver fondato il Movimento sulla dittatura-democrazia della Rete, ha contraddetto se stesso annullando la scelta on line e dal basso del nome da candidare a sindaca di Genova - proprio la sua città sembra una Nemesi burlesque - e Marika Cassimatis la prescelta dal web ma ripudiata da lui ha fatto ricorso e ha vinto. Contestazioni da internet per la decisione anti Grillo di Grillo? Rare, questi sono grillini silenti non parlanti.
Così nell’era della convenienza al di sopra di tutto e pronta a tutto si delinea la Quarta o Quinta Via di una politica del sì e anche del no, fatta di voltafaccia senza la necessità o gli scrupoli di fornire una spiegazione. Nel sistema a intermittenza rottura-chiusura dei nuovi leader vale tutto e il contrario di tutto, nessun imbarazzo perché il relativismo è da surf, si può fare quello che si vuole se si è sulla cresta dell’onda e si sa come cavalcarla. Dopo l’anti-politica è arrivato anche l’anti-programma.
Poi c’è la Francia. Dove nonostante diversi destini e risultati elettorali Marine Le Pen e François Fillon hanno in comune lo stesso vizietto. Lui è accusato di malversazione di fondi pubblici per aver assunto la moglie Penelope come assistente parlamentare, un lavoro pare fittizio perché lei non ha mai prestato servizio. Le Pen è coinvolta in indagini di truffa e abuso d’ufficio per aver inserito nelle spese da eurodeputato guardia del corpo e capa di gabinetto che in realtà lavoravano al Front National. Non proprio il genere di maneggi al rango di una candidatura all’Eliseo dove il presidente dovrebbe essere quasi una divinità. Eppure come previsto Le Pen è arrivata al ballottaggio. Fillon no. Anche se a Parigi ha ottenuto una valanga di voti (oltre il 26 per cento) e alla fine si è attestato al 20 per cento, un punto circa in meno di Le Pen. Numeri sibaritici soprattutto per chi è sotto inchiesta per raggiri poco presidenziali, un misto di Casta e Parentopoli che avrebbe dovuto farlo precipitare nel ludibrio di percentuali ben più basse.
Che barba evidentemente i ferrei principi. Hanno la meglio le facce di bronzo.