Opinioni
maggio, 2017

Romanzo dell’era senza memoria

La forma letteraria che ha interpretato al meglio la modernità ora deve riuscire a esprimere la rivoluzione tecnologica

Da qualche tempo mi domando che cosa possono scrivere i moderni romanzieri. Di solito io rileggo i classici del romanzo e a volte ricordo alcuni testi mitologici che in qualche modo diventano racconti di fantasia più o meno religiosamente ispirati. La Bibbia è certamente uno di questi testi e infatti fu composta nei suoi vari settori in uno spazio di almeno ottocento anni; ma quello è un testo religioso e quindi, anche se trasforma la religione in un racconto di fantasia, non può definirsi romanzo. Il mito rimase per secoli lo strumento con il quale gli uomini misuravano la loro natura e i libri attribuiti a un supposto Omero hanno appunto questa finalità: costruire personaggi, guerrieri, eroi, semidèi e perfino divinità che entrano in battaglia a sostegno di una parte contro l’altra. Non sappiamo quanti fossero i lettori di quei racconti mitologici ma comunque lo siamo noi e oggi attribuiamo ad essi significati che sono più nostri che loro.

Ma non è di questo che qui ci occuperemo, bensì del romanzo moderno, quando è nato, come si è tramandato attraverso i secoli e soprattutto se oggi, all’inizio di un nuovo millennio e comunque di un nuovo secolo, occorra far nascere un tipo di racconto o romanzo o poema o comunque lo si voglia chiamare per la sua forma, che interpreti e sia la chiave di lettura di una modernità tecnologica completamente diversa da quella che ancora era vigente fino a una ventina di anni fa. Questo è il problema.

Se dovessi dire chi oggi ancora si avvicina a una forma abbastanza moderna mi viene il nome di Kundera. Potrei avvicinargli altri nomi, per esempio quello di Italo Calvino o quello di Poe. Ma ce ne sono di ancora più moderni rispetto all’età di chi li aveva preceduti. Per esempio Hemingway, Dos Passos, Scott Fitzgerald, Faulkner e molti altri. E ancora e soprattutto Thomas Mann. Ma qui siamo ancora nel Ventesimo secolo. Come si arrivò a questi testi e a questi autori e come nascerà il romanzo che inaugura il nuovo millennio?

All’inizio ho parlato della Bibbia e del romanzo mitologico, ma questo appartiene ad un’epoca molto e molto lontana. Restano grandi fonti di conoscenza storico-letteraria senza però nessuna influenza su quanto accadde dopo, salvo un nome, antichissimo e al tempo stesso modernissimo: l’Ovidio delle “Metamorfosi”. Le scrisse mentre era stato esiliato da Roma perché l’imperatore Augusto non aveva sopportato alcuni sgarbi che Ovidio aveva commesso nei suoi confronti senza alcun rispetto per la carica imperiale che Augusto rivestiva.

Fu confinato nelle terre lontanissime sul mar Nero e lì rimase per molti anni, anzi vi morì. Scrisse varie cose ma soprattutto i libri sulle metamorfosi nei loro vari modi di verificarsi e di apparire. “Le metamorfosi” sono un grandissimo romanzo ancora oggi. Ma è un caso assai raro, per esempio non comparabile con il poema virgiliano su Enea, il suo amore per Didone, la sua battaglia contro Turno e infine la fondazione di quella che sarà la potenza di Roma. È sicuramente un bel poema e ancora lo si studia nelle scuole italiane ma non è un romanzo come noi lo intendiamo.

Il Medioevo è ricco di leggende. Alcune di esse affascinanti. Per esempio quello sulla Tavola Rotonda di re Artù e dei suoi cavalieri, le loro battaglie, le loro sconfitte o vittorie, i loro tradimenti e infine i loro amori. La leggenda dei Cavalieri culmina con l’amore di Artù per Ginevra, il suo amore e rivalità con Lancillotto, infine la morte di Artù e il suo funerale: una zattera carica di legname e il suo corpo sopra di esso, un fiume che lentamente lo trasporta verso il largo, un arciere che lancia una freccia con la punta di fuoco verso il legname della barca funebre la quale arde in mezzo al fiume fino a diventare cenere.

Questo tipo di leggende si moltiplicano notevolmente durante tutto il Medioevo e intrattengono gli spiriti che le leggono ma ovviamente non sono romanzi. Il primo vero romanzo lo scrive Cervantes e sappiamo bene qual è: il “Don Chisciotte della Mancia”. Lì nasce la fantasia che vuole evadere da una realtà ripetitiva e mediocre elevandosi verso una vita diversa, audace, rischiosa, generosa, cavalleresca. Questo è il sogno del Don Chisciotte che lo affronta avendo come elmo una casseruola messa in testa e come spada un coltellaccio appuntito. Il destriero raccontato come focoso è un cavallo vecchio e zoppicante e i nemici sono i mulini a vento con le pale che combattono e atterrano il Don Chisciotte.

Questo è il primo vero romanzo. Quasi contemporaneamente Rabelais scrive un testo ancora più romanzesco quando racconta che Pantagruel e i suoi più stretti amici arrivano in un’isola dove il cielo ha ghiacciato le gocce di pioggia che sono diventate altrettanti ghiaccioli pendenti dal cielo. In realtà non sono gocce di pioggia ma sono le parole ormai congelate e quindi non più usabili dall’uomo. Pantagruel capita sotto quel cielo e con i suoi uomini fugge al più presto perché lì le parole non esistono più e non si può più parlare. Arrivano in un’altra isola dove il linguaggio si scioglie di nuovo ma in modi diversi da prima.

Rabelais e Cervantes questo è il romanzo che nasce. Poi si ammorbidisce nei Salon delle dame letterarie del primo Seicento e l’esempio che è entrato nella classicità romanzesca è “La Princesse de Clèves” di Madame de La Fayette.

Da lì la storia romanzesca continua. In Italia prima ancora c’era stato Boccaccio e poi era venuto il poema dell’Ariosto che in realtà era un vero romanzo. In Francia l’Illuminismo stroncò il romanzo perché faceva come sua attività principale la ragione, l’indagine sui misteri della vita e le cause che la cambiano e la determinano. Diderot scrisse anche “Les bijoux indiscrets” ma fu un’opera minore per chi aveva diretto la nascita e lo svolgersi dell’“Encyclopédie” e molte altre opere della stessa natura. Il romanzo venne dopo, con l’affermarsi accanto e in sostituzione dell’Illuminismo del Romanticismo, nella prima metà dell’Ottocento. Da lì comincia il Romanticismo e riprende vita e vigore il romanzo. È inutile segnalarne i nomi perché sono a tutti noti e del resto ne abbiamo già dato qualcuno.

Ma adesso il Romanticismo può ancora essere significativo per il romanzo del XXI secolo e del III millennio dopo Cristo? Oppure bisogna costruirne un altro? Io credo che a questo siamo giunti con una grande difficoltà che bisogna superare: la società globale moderna è dominata dalla tecnologia e l’uomo ha modificato la propria natura per necessità imposte dalla tecnologia dei robot la quale tende ad espropriare gli umani di una parte delle loro azioni e quindi (non sorvoliamo su questo pensiero) di una parte notevole della loro mente. Il robot non è certo un clone, cioè non imita l’uomo fino in fondo ma lo espropria di alcune attività che spesso sono puramente servili ma talvolta incidono sull’atteggiamento della mente. E poi c’è il problema della memoria e qui si apre un’altra grandissima questione che non affronteremo certo oggi ma che è presente inevitabilmente nei nostri pensieri: la memoria che noi abbiamo del nostro passato, quello individuale, quello familiare, quello collettivo, cambia con una velocità di cui non ci rendiamo conto, cambia minuto per minuto perché il correre del tempo incide sulla memoria, rende importanti i fatti che fino a poco tempo fa ci sembravano secondari e viceversa quelli ritenuti da noi secondari diventano improvvisamente di estrema importanza. Una memoria così mobile rende mobile la vita e questo da un certo punto di vista è un enorme miglioramento ma da un altro punto di vista è una decadenza terribile. Mi sbaglierò ma credo che da questa contraddizione possa nascere il romanzo moderno. Prove finora non ne abbiamo, ma certamente le avremo.

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