Ironico e autoironico, della Gherardesca ?è il motore del gioco itinerante che torna su Raidue. In bilico tra eleganza e noia
Cronache della televisione che verrà. Il 13 settembre, su Rai2, riparte Pechino Express. È l’edizione numero sei, perché qualcuno a viale Mazzini non conosce la parola pietà e quando un programma insiste a dare segni di vita lo ripropone fino all’ultimo respiro. Nessun senso del limite, della noia, della ribellione umana alla prevedibilità. La religione del format è assai più comoda per i tele-comandanti che dannarsi in cerca di alternative, dunque rieccoci alle prese con la sfida tra concorrenti che attraverseranno senza soldi in tasca Filippine, Taiwan e Giappone.
Poco importa quali episodi segneranno la nuova sfida. Pechino Express continua ad avere un suo senso perché intercetta il sentimento dei tempi (troppo spesso grami) che ci sono stati riservati. Quelli che al gusto dei viaggi in luoghi dissonanti con le nostre culture e abitudini hanno sostituito gli steccati del terrorismo. Quelli, pure, che prima dell’allarme morte internazionale avevano spalancato la possibilità di esplorare a basso costo il pianeta, e però intanto avevano commercializzato tutto il commerciabile, riducendo al minimo per la categoria dei turisti le eventuali chance di stupore.
Premesse che hanno agevolato anno dopo anno il cammino televisivo di Pechino Express. Trasmissione fin da subito contraddistinta da un’eleganza che l’ha resa gradita sia ai disgustados dai trash reality, sia a tutti coloro che ancora avevano voglia di respirare il mondo senza rischi, dal divano domestico, semplicemente assistendo a scherzi e giochi davvero senza frontiere. Nulla di male. Però alla lunga ascoltare le perorazioni alla popolazione locale da parte dei concorrenti per ottenere ospitalità notturna, o seguire gli altrettanto soliti autostop on the road, ha stancato. Soprattutto perché questa ritualità di forgia semi-goliardica, per quanto intrisa di immagini in grado di comunicare il senso superficiale delle nazioni lontane, paga il prezzo del falsume che le telecamere (e tutto quello che per induzione accade di fronte a loro) generano.
Per fortuna, a governare il traffico del già visto e sentito ci sarà Costantino della Gherardesca: il conduttore partito il primo anno come concorrente che, essendosi distinto per l’inconsueta dote di parlare un italiano esatto ed essere in grado di coltivare pensieri articolati, ha meritato la promozione a capogita. A lui spetterà sia il compito di infarcire di ironia e autoironia una recita prevedibile, sia la missione di non far straripare il folklore. Ingrediente prezioso - è vero - per stimolare l’allegria di chi maneggia il telecomando, ma anche in grado di spogliare lo show del suo residuo fascino.