Questa settimana avevo deciso di riflettere sull’intensa confusione che sta avvenendo nella politica italiana rileggendomi in proposito un grande esperto in materia: Platone. Mi direte che questo esperto viene alquanto da lontano: Platone visse nella Grecia ellenica poco meno di duemilacinquecento anni fa e tuttavia è molto moderno. Del resto adesso appare molto opportuno avere qualche insegnamento da chi ha scritto testi che a tanta distanza sembrano concepiti da un saggio del tempo nostro, i celebri “Dialoghi”, fra cui anche “La Repubblica”. Platone ha un’idea che è il centro del suo modo d’essere: raccontare il pensiero di quelli che erano maestri e lui allievo, i “Dialoghi” dove quasi sempre il protagonista è Socrate, che quando Platone scrive è già morto da un pezzo; ma lui lo interpreta a suo modo.
Naturalmente non è il solo, Socrate aveva una legione di amici e si vedevano spesso, quasi sempre erano gli stessi ma di tanto in tanto c’erano nuovi innesti o improvvise scomparse. Comunque, come sappiamo, Socrate fu incolpato di gravi reati e condannato a morte a un giorno prefissato. Radunò gli amici e si avvelenò con la cicuta. Gli amici in gran parte si dispersero e tornarono ai loro tradizionali mestieri salvo pochi tra i quali Platone è il numero uno.
Vi domanderete per quale diavolo di motivo mi vado a rileggere i “Dialoghi” per capire che cosa faranno Salvini, Di Maio, Berlusconi, Renzi, Franceschini, e soprattutto che farà il nostro presidente della Repubblica, e che cosa c’entrano i “Dialoghi” di Platone per spiegare quello che sta avvenendo. Mi rendo conto ma a me piace vedere qual è il pensiero dei grandi; quello di Platone lo studiai al liceo e poi l’ho riletto varie volte e lo trovo molto adatto a capire la politica italiana, europea, occidentale. Insomma la politica: e mettiamoci insieme nei nostri interessi anche quelli della Cina e soprattutto della Russia dopo che lo Zar attuale ha preso il 75 per cento dei voti ma con un afflusso alle urne del 65 per cento o giù di lì. Comunque lo Zar è lui, e ha parecchio interesse a farsi valere non solo nel suo Paese che arriva nientemeno fino allo stretto di Bering ma anche nel Medio Oriente e nel Mediterraneo per non parlare del Baltico.
Platone è applicabile alla politica di questi Paesi di mezzo mondo? Quando Platone scrisse, Omero (o chi per lui) aveva già scritto i suoi poemi (Iliade e Odissea) e in tutti e due emerge Ulisse, un personaggio che è stato giustamente battezzato come il primo Eroe moderno, sia nelle azioni sia nel pensiero così come poi fu interpretato, soprattutto da Dante che lo incontra nell’Inferno, nel girone dei fraudolenti. Dante è certamente moderno perché moderni si nasce e non si diventa. Platone è alquanto più vecchio di Dante nella storia della cultura, ma moderno quanto lui se non addirittura di più ed ecco perché rivisitarlo può essere utile alla realtà odierna.
I Dialoghi sono parecchi e Platone non figura mai come personaggio ma li incarna così come incarna Socrate e poi Critone, Fedro, Alcibiade, Fedone.
Mi rendo ben conto che una premessa platonica intesa a capire ciò che sta avvenendo in questi giorni ha ben poco a che vedere con l’alleanza provvisoria tra Salvini e Di Maio ma ognuno si diverte come può, e cerca divertendosi, di trarre qualche insegnamento.
In uno dei “Dialoghi” il protagonista è Alcibiade il quale si stupisce (nel dialogo) che dopo aver attraversato vari guai politici e militari ha perso molti degli ammiratori che aveva e la loro amicizia, salvo quella di Socrate che anzi, proprio perché lo vede penalizzato da un’inconsueta solitudine, lo frequenta più di prima. Alcibiade fa politica ed è stato anche (e di nuovo lo sarà) un militare molto capace di dirigere i propri uomini verso la vittoria. L’epoca in cui visse era molto agitata, c’era la guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta. Alcibiade oscillò per varie ragioni tra Atene e Sparta, ebbe un incarico militare in Sicilia ma durò poco, fu richiamato e poi tentò perfino di accordarsi con i Persiani. Oggi diremmo che era un trasformista, sì lo era e non sempre ci guadagnò. Ma veniamo a quel dialogo.
Il discorso tra lui e Socrate riguarda il modo di farsi valere nella politica di Atene in particolare e della Grecia più in generale. Socrate (o meglio Platone che è l’autore delle sue parole) fa una distinzione tra la mente e il corpo. Se si coltiva troppo il corpo nei vari modi nei quali è coltivabile, la mente si deteriora, passa in seconda o terza linea, cosa che è un errore molto grave perché il corpo non dirige la mente ma è la mente semmai che dirige il corpo moderandone le passioni, cancellandone gli errori e coltivando nei limiti del possibile le capacità che possono anche contribuire alla sovranità della mente. Queste riflessioni sono estremamente attuali, purtroppo i moderni nostri contemporanei non tengono conto di tutto questo.
Dopo aver dato i suoi consigli generici Socrate affronta il problema concreto che Alcibiade gli sottopone: bisogna fare il bene del popolo e chi è in grado di convincere i componenti di quel popolo deve soddisfare al tempo stesso i bisogni di ciascuno e quelli generali di tutti. Ma chi è che giudica qual è il bene del popolo? Un capo? Una classe dirigente? «Qualcuno», risponde Socrate a queste domande, «deve convincere il popolo a distinguere il bene comune e quello individuale». «Ma chi interpreta il bene comune?», domanda Alcibiade. «Il popolo», risponde Socrate. «Ma il popolo è fatto di molti individui i quali per mettersi d’accordo hanno bisogno di qualcuno che li guidi», obietta Alcibiade. «Ci sono dei saggi la cui mente lavora affinché il popolo si renda conto che deve agire compatto, individuare qual è il bene comune sapendo che per attuare questo ideale bisogna avere ben chiaro quale è il bene proprio. Il bene proprio lo si raggiunge attraverso una visione chiara e utile del bene comune». «Tu hai usato adesso la parola utile, ma l’utilità è un valore? Utile per chi? Per l’individuo o per tutto il popolo?» «Sono due concetti anzi realtà che sembrano contrapposte ma non lo sono: il bene comune è utile a tutti sempreché ciascuno non lavori solo per sé ma faccia coincidere l’utilità propria con quella comune. Ecco perché è l’anima che guida, è la mente che guida. Ci sono anche istinti malefici ma quelli vanno dominati; questo è il valore della saggezza che significa farla coincidere con l’utilità».
Questo è l’insegnamento che ci viene da oltre duemila anni fa ma è aderente alla realtà di oggi. Purtroppo sarebbe opportuno che i nostri politici avessero qualche sia pur vago sentore del pensiero platonico ma non mi pare che Salvini e Di Maio si pongano questo problema intellettualmente educativo. Le loro idee che stanno attualmente negoziando sono queste: dividersi le presidenze delle Camere. Allearsi per modificare la legge elettorale probabilmente con un premio che potrebbe scattare al 40 per cento dei voti o addirittura al 35. Sempreché Berlusconi ci stia e sempreché il Partito democratico anche lui almeno in parte ci stia. Insomma un’alleanza molto vasta che contiene peraltro insidie di vario tipo, la principale delle quali è proprio Berlusconi. La sua entità di partito è modesta, oscilla intorno al 14 per cento, ma può fare proposte che facciano gola o che blocchino l’idea di un premio troppo basso. In nome della democrazia Berlusconi potrebbe mantenere il premio al 40 o addirittura farlo crescere, tanto non sarà mai lui a prenderlo. Ma la somma Salvini-Di Maio è comunque autosufficiente, anche se la loro consistenza elettorale varia nelle due Camere le quali dovrebbero approvare queste modifiche, salvo che esiste anche, ovviamente, un potere del presidente della Repubblica connesso con i poteri della Corte costituzionale. Fino a che punto sono d’accordo nell’istituire un premio che non sia abbastanza elevato?
Il fatto che l’alleanza Salvini-Di Maio si limiti al prossimo ottobre quando, a legge elettorale riformata si dovrà tornare alle elezioni, riguarda direttamente i poteri del Capo dello Stato perché è lui che scioglie le Camere e se scioglie le Camere a ottobre rischia di riprecipitare in una situazione come quella attuale.
E che farà il Pd che non ha più un segretario ma una direzione e un governo soprattutto quello tenuto in piedi al momento da Gentiloni e naturalmente dal Capo dello Stato.
Personalmente continuo a ritenere che la vera soluzione sarà la proroga di molti mesi del governo Gentiloni per poi tornare alle elezioni alla fine del 2019. Solo allora si potrà vedere quello che accadrà. Mi auguro che accada il meglio e Gentiloni con Mattarella alle spalle può garantirlo. Il Partito democratico ha tutto da guadagnare se le cose andranno così e quindi è bene che le appoggi anche se il suo appoggio attuale è numericamente poco rilevabile. Ma così come ha perso molto alle elezioni del 4 marzo, può molto riguadagnare se agirà con la testa sulle spalle. Un’occhiata agli insegnamenti di Socrate e alla preminenza della mente sarà comunque utile.