Tanti registi, in particolare registi-attori, hanno inserito nei loro film elementi autobiografici. Situazioni vissute, episodi annidati nella memoria, personaggi incontrati. Figure e fatti reali della propria esistenza sono un’inesauribile riserva per i professionisti della finzione. Lo schermo consente richiami intimi come un’opera letteraria, ma sono meno evidenti. O non lo sono affatto. È raro che si faccia del cinema come si scrive un romanzo. Un film è difficilmente una creazione solitaria. “Il corriere” (The Mule), di cui Clint Eastwood è il regista e il protagonista, è una fortunata eccezione. Il doppio ruolo, non nuovo per lui, gli offre l’occasione di tracciare un autoritratto.
È come se invece di essere girato con una macchina da presa, il film fosse stato “scritto” da lui. Guardi lo schermo e leggi un libro. Non solo Eastwood interpreta e dirige un attore con gli stessi anni, come lui sugli ottanta. Per la precisione, lui nella realtà ne compirà ottantanove in maggio. Non si ricorda che nella storia di Hollywood ci sia stato un altro attore-regista della sua età. Una larga parte del film «si accorda direttamente alla sua vita», dice il critico e storico del cinema Todd Mc Carthy , amico di Clint da decenni.
Eastwood non e più da tempo l’eroe degli spaghetti-western di Sergio Leone, né noi siamo più da tempo gli spettatori che vedendoli rimpiangevamo John Ford. Lui ha conservato la silhouette snella, elegante, e anche l’occhio blu. Ai progressivi cambiamenti fisici eravamo abituati, nello scorrere degli anni. In “Il corriere-The Mule” mostra tutta la sua età, quella reale. Senza trucco. La esibisce come Marilyn Monroe le forme. Un’età portata con tanta disinvoltura e con ironia sembra leggera. Tale deve essere anche fuori dallo schermo. Realizzare un film su se stesso e interpretarlo richiede riflessi rari.
Il racconto si snoda come un thriller, ma è piuttosto la storia di un nonno, Earl Stone, che non ce la fa più a campare coltivando daylilies (emerocallidi o gigli di un giorno), fiori di cui è un appassionato specialista. Fiori che durano ventiquattro ore e che rammentano la fragilità di ogni creazione. Anche quella dei film. Valeva la pena dedicargli la vita, trascurando gli affetti familiari? A far giustizia sarà il fallimento dei piccoli commerci provocato dai nuovi metodi di vendita (on line). Earl Stone, il vecchio floricultore, che ha preferito gli effimeri daylilies a mogli e figli, perde la casa e l’ orto. A salvarlo dalla miseria è l’inaspettata offerta di fare il corriere per una banda di trafficanti messicani di droga. Il nuovo lavoro, di cui non capisce subito la natura criminale, gli dà la possibilità di uscire dai guai finanziari. Lo fa ricco alla fine della vita e gli pone al tempo stesso problemi morali. Il vecchio Earl Stone è commovente e divertente. È stato un soldato e non lo spaventano i mitra e le minacce dei trafficanti che lo pagano e lo vogliono ubbidiente. Sa essere spiritoso quando gli offrono come premio due prostitute con le quali passare la notte. E lui dice: «Bisogna che vi dia il numero del mio cardiologo». I dollari incassati a ogni viaggio, con la cocaina nel bagagliaio, li distribuisce ad associazioni benefiche, ad amici in difficoltà, e, soprattutto, ai membri della famiglia ritrovata. Alison, figlia di Clint, nel film è Iris, la figlia recuperata da Earl Stone. Ma anche dal padre vero.
Clint Eastwood interpreta se stesso. Non che gli sia capitato di fare il corriere della droga. Il cinema gli serve per esprimere il senso di colpa che, secondo l’ amico Todd Mc Carthy, l’accompagna al tramonto della vita. Una vita durante la quale ha trascurato tutto per il lavoro. Sposato e divorziato due volte, Clint Eastwood ha avuto sette figli (numero, pare, approssimativo) da una mezza dozzina di donne. Stando ai giornali scandalistici, ci sarebbero stati parti simultanei. Lui non era distratto da quelle nascite: era troppo impegnato come regista o attore, o come regista-attore. Due o tre film all’anno. Quando Earl Stone, il protagonista, finisce in prigione, Iris, la figlia, gli dice: «Adesso, almeno, sapremo dove trovarti».