In una delle sue ultime opere, il grande scrittore affronta un male diffuso in tutto il Medio Oriente. E che pesa sul conflitto tra israeliani e palestinesi
di Bernardo Valli
13 ottobre 2019
Mi capita di rileggere, dieci mesi dopo la sua morte, avvenuta nel dicembre 2018, uno degli ultimi scritti di Amos Oz: “Cari fanatici”, edito da Feltrinelli. Il titolo originale è “Shalom Laqanaim”. La traduttrice dall’ebraico è Elena Loewenthal. Ho avuto l’impressione di scoprire il testamento di Amos Oz. Non mi ero accorto di questa preziosa impronta, alla prima lettura. Allora ero ancora preso da quel capolavoro che è “Una storia d’amore e di tenebra”. Mi era sfuggita l’importanza di “Cari fanatici”, un saggio che arricchisce il precedente “Contro il fanatismo”. Vi è evidente il desiderio di continuare il discorso con nuove riflessioni, culturali, politiche, o religiose. Il fanatismo è per Oz un temibile nemico che si aggira per le contrade mediorientali. È il nemico del presente.
Ho parlato di testamento perché sul punto di lasciarci Amos Oz traccia con drammatica lucidità il tema del fanatismo affiancandogli una pacata apologia della moderazione. In uno degli ultimi scritti lascia in eredità la sua lungimiranza. Se la prende con i sapientoni pronti a ripetere che non c’è soluzione al conflitto e parlano della “sua gestione”. La quale comprende la prima e la seconda e la terza e la quarta e la quinta guerra del Libano, e le operazioni con appellativi che sembrano titoli di romanzo: Piombo Fuso e Colonna di Fumo e Margine di Protezione e Arco Teso e Stivali di Ferro e Colpi Mortali. Oltre qualche Intifada. Questa interminabile “gestione del conflitto” dovrebbe condurre, stando alle previsioni taciute, alla fine dell’Autorità palestinese; ma quelle previsioni non annunciano, tacciono sul fatto che il vuoto rischia di essere colmato dall’inevitabile crescita di Hamas, o di sue affiliazioni ancora più estremiste e fanatiche. Insomma non vedono il peggio.
È, nel frattempo , simultaneo un imprevisto processo di integrazione, visibile, palpabile, che rappresenta un importante progresso rispetto al passato, quando l’esistenza di Israele veniva negata dalla maggioranza dei regimi arabi. La durata di questa integrazione è legata al conflitto con l’Iran. Oggi è essenziale, ma quanto sia provvisoria lo rivela la mancanza di rapporti diplomatici, di un reciproco riconoscimento, tra Gerusalemme e tutte le capitali che compongono la coalizione anti-iraniana. La necessità dell’Arabia Saudita e degli Emirati del Golfo di avere Israele come alleato trascura gli aspetti formali e troppo vincolanti.
La precarietà di questa situazione è messa in evidenza da Amos Oz. Molti, troppi suoi connazionali sono convinti, scrive, «che se solo prendessimo un grosso bastone e assestassimo agli arabi un unico bel colpo, potremmo atterrirli definitivamente e tutto andrebbe a posto». E il romanziere, iscritto a Meretz, partito laico di sinistra e di ispirazione sionista, fa notare l’assurdità di tale convinzione: nonostante il grosso bastone gli arabi non mollano. Benché i palestinesi nei territori occupati, prosegue, «vivano una vita di umiliazione costante, privati di libertà e di diritti».
L’aggettivo tanto usato che irrita Amos Oz, più volte candidato al Premio Nobel, è: irreversibile. L’estrema destra, da un lato, e i gruppi postsionisti e antisionisti, in Israele come nel resto del mondo, la usano spesso. Tutti sembrano essersi messi d’accordo per giudicare tale, cioè irreversibile, l’occupazione israeliana della Cisgiordania, vale a dire della Palestina. E quindi anche la presenza dei coloni israeliani che hanno ormai espropriato circa un terzo del territorio. Amos Oz, critico ma fedele, radicato, cittadino di Israele, era contrario a uno Stato binazionale. Considerava l’idea “squallida”. Con la loro storia alle spalle e con le ferite del presente, i due popoli non potevano, a suo avviso, formare una “famiglia felice”. Per lui la situazione non è del resto irreversibile come si ripete. Quante situazioni, giudicate tali, hanno subito grandi cambiamenti. Gli ebrei decimati dai nazifascisti si sono scavati uno Stato; l’Algeria irrinunciabile per la Francia è stata ceduta da de Gaulle; l’America superpotenza invincibile ha abbandonato il Vietnam. Solo la morte è irreversibile, secondo Amos Oz. Il quale prima di andarsene ha voluto esprimere il suo pensiero di israeliano nato in Israele e fedele alla sua terra, ma anche rispettoso dell’altro popolo che vuole un paese indipendente.