Mi passano per la testa tanti fantasmi mentre all’Opéra Bastille ascolto la musica di Dmitri Šostakovic, ricca di virtuosi contrasti. Da dilettante cerco di capire quando prevale l’influenza di Stravinski o quella di Mahler. Šostakovic diceva di essersi ispirato al neoclassicismo del primo e al postromanticismo del secondo. Stalin non dubitava delle sue conoscenze musicali e trovava “caotica” l’ opera di Šostakovic, “Lady Macbeth nel distretto di Mcensk”, che adesso, rappresentata sul vasto palcoscenico parigino, mi affascina come ha affascinato legioni di spettatori in tutto il mondo. La regia del polacco Krzysztof Warlikowski imprime a questa edizione un ritmo romanzesco, mozzafiato, che ti aggancia dalla prima all’ ultima scena. Anche senza le ripetute, realistiche scene d’ amore, la sensualità domina il racconto e la musica. Esalta e uccide.
Più che una storia d’ amore Katerina Lvovna Ismailova, la Lady Macbeth, vive una storia di sesso che si consuma fino in fondo, fino all’ assassinio e al suicidio. Katerina (interpretata con passione dal soprano lituano Ausriné Stundyté) si annoia da morire in un borgo sperduto, Mcensk, noto per i mattatoi e per la puzza che emanano. Il marito, mercante di carne, non è capace di farle un figlio. E Serguei (il tenore, l’altrettanto appassionato Pavel Cernoch, ceco nato a Brno), un operaio, diventa il suo amante infedele. L’intreccio di sesso, di gelosia e di odio porta a delitti in cui si è voluto scorgere una lotta di classe e anche il tragico orgoglio femminista delle donne russe, umiliate nel regime zarista. Quando l’ opera viene rappresentata, nel 1934, Šostakovic ha ventotto anni. Il successo è immediato. L’ affluenza del pubblico è tale che in quel solo anno “Lady Macbeth nel distretto di Mcensk” viene allestita duecento volte nei teatri del paese. E la critica non risparmia gli elogi, sul piano artistico e su quello politico: «L’opera poteva essere creata soltanto da un compositore cresciuto nella cultura sovietica», scrivono i giornali.
Ma nel 1936, La Pravda, il quotidiano del partito, cambia bruscamente tono. «Confusione invece di musica» è il titolo che segna la svolta della critica ufficiale. Una sera, mentre al Bol’šoj va in scena la sua opera, Šostakovic assiste allibito alle reazioni di Stalin, presente in teatro con dei membri del Politburo. Stalin si agita, mostra la sua irritazione ogni volta che gli strumenti a percussione e gli ottoni emettono suoni a suo avviso troppo forti, e scoppia in risate, imitato dai suoi compagni, quando Katerina e Sergei recitano le realistiche scene d’ amore. Per lui l’opera è «grossolana, primitiva e volgare». Quindi antisovietica. Alla fine del terzo atto Šostakovic rende il rituale omaggio all’onnipotente spettatore.
Nella lettera a un amico, in cui racconta quella terribile serata, scriverà di essersi sentito «bianco come un foglio» quando si è inchinato davanti a Stalin. Da allora seguono anni difficili. Nel 1937 comincia il Grande terrore, durante il quale amici e parenti del compositore finiscono in prigione o sono uccisi: tra quest’ultimi il maresciallo Tukhachevsky, suo protettore. Lui, Šostakovic, continua a comporre; prima evita di esibirsi, poi cerca di adeguarsi al clima politico, senza rinunciare del tutto alla libertà della sua musica. Ma otterrà una completa riabilitazione ufficiale solo con la Settima sinfonia, della quale ha composto i primi tre movimenti nel 1941 a Leningrado. A ispirarla, si disse, era stata l’eroica resistenza della città assediata dai nazisti.
Erano celebri e nobili i fantasmi che mi hanno tenuto compagnia all’ Opéra Bastille. Quelli di personaggi contemporanei al compositore della “Lady Macbeth nel distretto di Mcensk”, come lui sottoposti al tirannico volere di Stalin, al quale non si rassegnano. Giganti della letteratura. Mentre Šostakovic componeva le sue sinfonie, Bulgakov scriveva e riscriveva “Il maestro e Margherita”. Pasternak non riusciva a pubblicare in patria il suo “Dottor Zivago”. E l’ altro futuro Premio Nobel per la letteratura, Aleksandr Solženicyn, appena decorato per il valore in guerra come capitano dell’ Armata rossa, finisce in un campo di lavoro per avere criticato Stalin in una lettera privata. Dall’esperienza nel Gulag trarrà un grande libro. La santa Russia ha saputo fare miracoli nei momenti tragici della sua Storia.