Quella domanda sull'Olocausto

"Gli ebrei avranno pur fatto qualcosa", chiese il liceale Salvini alla professoressa. La sua vicinanza alla destra estrema ha radici lontane

Altro che Zorro, viene da pensare leggendo “I demoni di Salvini”, libro che Claudio Gatti dedica ai tanti, troppi non detti del Ministro degli Affari Interni. «Avranno pur fatto qualcosa gli ebrei per essere trattati in quel modo».

Questa domanda la pone un liceale alla sua professoressa di storia e filosofia. Sono gli anni Novanta, il periodo più o meno è quello della Prima guerra del Golfo: un momento in cui gli ebrei c’entrano e con gli ebrei c’entrano le loro “eterne colpe”. La linea è diritta, chiara, lampante. Se Saddam lancia missili contro Israele, qualche studente si domanda se anche l’Olocausto sia mai realmente esistito e se Dachau non sia per caso una «roba ricostruita e messa lì dagli americani».

La domanda sulle “colpe” degli ebrei la pone Matteo Salvini, che negli anni di liceo non frequentava il Leoncavallo, come fece credere per opportunismo politico qualche anno dopo. Era il 1994 e, nell’aula del consiglio comunale di Palazzo Marino, disse: «Chi non ha mai frequentato un centro sociale? Io sì, dai sedici ai diciannove anni. […] Il mio ritrovo era il Leoncavallo. Là stavo bene, mi ritrovavo in quelle idee, in quei bisogni». Una menzogna colossale, perché Salvini, in quegli anni aveva altre frequentazioni, altre idee e altri bisogni. Una delle persone a lui più vicine era il suo compagno di scuola Marco Carucci, dichiaratamente fascista, che per anni è stato dirigente e portavoce a Milano di Forza Nuova. Ma la Lega a cui Salvini si avvicinò negli anni Novanta era antifascista, ed era meglio per lui fingersi leoncavallino che mostrarsi per quello che era: un negazionista.

Siamo al Liceo classico Alessandro Manzoni, uno dei migliori di Milano. Mi viene da pensare al Liceo scientifico Armando Diaz che, qualche anno dopo, avrei frequentato a Caserta e che, molto probabilmente, a qualcuno di quelli che frequentavano il Manzoni poteva sembrare, né più né meno, la succursale campana di un liceo africano.

Questo lo dico solo perché sia chiaro che anche la contrapposizione tra popolo ed elités che Salvini fa, amando collocarsi tra il popolo, è del tutto mistificatoria ed è parte del trasformismo politico che lo porta a dare alle persone esattamente ciò che vogliono, senza paura di cadere in contraddizione. Anzi, mi sembra di sentirlo mentre dice «solo gli stolti non cambiano idea». E nel cambiare idea c’è anche la riscrittura del proprio passato.


È così Salvini, che pure veniva apprezzato dai suoi docenti, ricorda se stesso come una sorta di martire: «I professori [...] erano quasi tutti di sinistra. [...] A causa delle mie idee non mi ero attirato le loro simpatie». Una balla: studente tutt’altro che mediocre che però dedicava forse più tempo alla passione per il Milan che allo studio. Niente di male, ma nessun ostracismo politico.

Claudio Gatti, nel suo libro, parla di tutto questo con alcuni professori di Salvini che conservano un ottimo ricordo dello studente che fu, a parte quella domanda sugli ebrei. Anzi, quella affermazione - «Avranno pur fatto qualcosa gli ebrei per essere trattati in quel modo» - che forse oggi sarebbe meglio dimenticare, che forse sarebbe meglio non aver pronunciato mai.

«Quando c'erano le assemblee studentesche, se c’erano ragazzi che preferivano rimanere in classe alcuni di noi insegnanti dovevano stare con loro. In una di queste occasioni toccò a me». A raccontare è la professoressa di storia e filosofia di Matteo Salvini. «Si parlava della Seconda guerra mondiale, in particolare della Soluzione finale. A un certo punto uno di loro è venuto fuori con questa frase: “Avranno pur fatto qualcosa gli ebrei per essere trattati in quel modo”».

Nello stesso periodo qualcuno con una bomboletta spray, su un muro esterno del Manzoni, scrisse: “Morte agli ebrei”. Accanto a quelle tre parole, con calligrafia identica, era stata composta una seconda scritta: “W Saddam”.

Al Manzoni, nella sezione di Salvini, insegnava matematica e fisica la professoressa Silvana Sacerdoti, nata nel 1932 da famiglia ebraica e sopravvissuta alla Soluzione finale perché, nel 1943, i genitori decisero di separare la famiglia. Quella scritta, senza rispetto e con crudeltà, entrava nella carne viva di chi alla Soluzione finale era scampato.

Resta il mistero su chi ne sia l’artefice mentre sappiamo che le frequentazioni di Salvini passano gli anni e non cambiano. Al liceo, come racconta Claudio Gatti, era il fascista Marco Carucci, oggi è l’inquietante Luca Morisi. Con esiti sempre più mostruosi.

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