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Opinioni
giugno, 2021

I bersaglieri

Alla parata militare mi domandavo se in battaglia ci fosse tempo per l’estetica, ammesso che l’incanto sia in un piede che dà la caccia al successivo

Ho sempre percepito la Repubblica come una forma sbarazzina di Monarchia. Lì regnava uno so lo, qui lo fanno in tanti. Il criterio è ancora quello, c’è chi comanda su indicazione del popolo che non comanda mai. Non è dibattito, ma un dato inconfutabile. Noi facciamo la festa a chi governa rivendicando l’adesione alla bandiera. Per chi non vede differenze tra gli esseri umani, l’appartenenza è un surrogato della reclusione. E questo può accadere. La cosa che non quadra è celebrare un gruppetto che dispone e una maggioranza che si adatta.

 

Avrei preferito una Repubblica dove comandavano tutti tranne uno, un esempio sublime di democrazia che rovescia il principio stesso della Monarchia: solo uno, il più ramingo, non può dire la sua e deve adeguarsi al volere degli altri. Una vera minoranza, la minoranza autentica: uno. Però è poco prudente, perché se quell’uno riuscisse nel colpo di Stato, si troverebbe nella scomoda posizione del sovrano che tiranneggia su ogni prototipo di democrazia passata.

 

L’unica possibilità è comandare tutti in simultanea e spedire in esilio colui che sottostava, generando il più alto modello di Nazione auspicabile: il dominio in mano a tutti che, non potendo esercitarlo poiché nessuno lo patisce, rinunciano allo scettro e se ne vanno in proscrizione altrove, dando vita alla Repubblica per eccellenza, quella del paese senza chi ci vive. È il mio pronostico, ma non credo di azzeccarlo entro il 2 giugno corrente. E allora spazio ai ricordi di quando da piccolo, nel periodo dei festeggiamenti, assistetti alla parata militare presso la Caserma di Polizia Santa Barbara a Nettuno, dove mio padre era in quel tempo Brigadiere.

 

Rammento i battaglioni procedere con passo solenne, un piede dopo l’altro e l’altro ancora, mia madre indicava il Presidente in carica Giovanni Leone, mia sorella, condannata dall’infanzia a essere bassa, non vedeva i corazzieri, le armate si esibivano in pose innaturali, con le gambe levate verso il cielo a rallentare il movimento. E mi chiedevo che bisogno c’era di camminare come n on avrebbero mai camminato, di agitare le braccia a segmenti e la testa a scatti paralleli, mi domandavo se in battaglia ci fosse tempo per l’estetica, ammesso che l’incanto sia in un piede che dà la caccia al successivo.

 

E poi gli alpini, mortificati a sfilare in pianura, sull’asfalto rovente, proprio loro che siedono quasi alla destra del Padre. A un certo punto i cani saltarono dentro i cerchi di fuoco, situazione assai improbabile, perché nella vita di tutti i giorni o dai fuoco al cerchio in attesa che il randagio si appalesi, oppure adotti una bestiola aspettando che qualcuno infiammi il disco. Gli unici normali erano i bersaglieri, a parte la trombetta che sdrammatizza la tragedia, correvano affannati col pennacchio e davano l’idea di voler togliere il disturbo quanto prima. Come avrei voluto anche mio padre in mezzo a loro. Lì ammiro i bersaglieri, perché sono gli unici a capire di averla fatta grossa.

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