Il commento
L’Italia ha pochi under 30 e pochi laureati rispetto alla media europea: e questi dati hanno un impatto sul resto delle scelte lavorative e sociali. Ma le risorse per intervenire ora ci sono e il nuovo governo non potrà accampare scuse
di Alessandro Rosina*
L’Italia rischia di non riuscire a rilanciare dopo la crisi sanitaria la propria economia e alimentare i propri processi di sviluppo, cogliendo le opportunità della transizione verde e digitale, soprattutto per carenza di energia. Da troppo tempo da noi risulta, infatti, scarsa, dispersa, utilizzata in modo poco efficiente la risorsa più importante e strategica per far funzionare un Paese e mantenerlo competitivo a livello internazionale. Questa risorsa energetica è costituita dai giovani ben preparati e qualificati.
È scarsa perché di giovani ben formati ne abbiamo meno rispetto agli altri paesi con cui ci confrontiamo. L’incidenza degli under 30 sulla popolazione italiana non arriva al 28% ed è il valore più basso in Europa. Tra le più basse è anche la quota di laureati in età 30-34 anni: sotto il 27% contro una media europea oltre il 40%. È energia dispersa perché presentiamo un saldo negativo cresciuto nel tempo tra giovani con alte qualifiche che vanno a cercare migliori opportunità all’estero rispetto a quelli che attraiamo, come ben documentato nel Rapporto Bes 2021.
L’utilizzo poco efficiente della risorsa giovani è misurato dalla percentuale di Neet: nella fascia 25-29 coloro che non studiano e non lavorano sono quasi il 30% ed è, di nuovo, il dato peggiore tra i paesi membri dell’Unione europea, con un divario che non si è ridotto nel tempo ed è anzi ulteriormente peggiorato con l’impatto della pandemia. La bassa valorizzazione in Italia del capitale umano delle nuove generazioni porta inoltre ad un maggior rischio di sottoccupazione e di trovarsi nella condizione di working poor. Tutto questo ha poi ricadute sulla realizzazione dei progetti di vita, come testimonia l’età media al primo figlio che risulta la più tardiva in Europa.
Il processo di miglioramento della condizione delle nuove generazioni non parte però da zero. Per risollevare l’economia italiana e mettere le basi di una nuova fase di sviluppo con nuove opportunità per i giovani sono disponibili finanziamenti di entità del tutto inedita, ottenuti dai governi precedenti attraverso il fondo Next Generation Eu. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che contiene i progetti da finanziare attingendo da tale fondo ha ottenuto l’anno scorso il via libera dalla Commissione europea. Alla nuova legislatura e, quindi, al nuovo Governo è affidato il compito cruciale di una concreta ed efficace realizzazione, visto che i finanziamenti concessi devono essere utilizzati entro il 2026.
Il Pnrr destina investimenti rilevanti all’istruzione e alla formazione professionale, al rafforzamento delle competenze di base e avanzate, alle politiche attive del lavoro, al sostegno dell’imprenditoria giovanile nei settori più innovativi. Non esistono quindi più alibi sulle risorse ed esiste un piano da cui partire, che può eventualmente essere precisato e rafforzato.
Chi si assume in questa fase storica del Paese la responsabilità di governo ha ora soprattutto l’impegno di rendere trasformativi questi strumenti nelle vite delle persone e nel percorso di sviluppo del Paese, attraverso un’efficace implementazione su tutto il territorio e a partire dalle realtà sociali più svantaggiate. Tutto questo richiede un sistema trasparente di monitoraggio e verifica dei progetti finanziati, che ci aspettiamo venga realizzato da parte del nuovo esecutivo in coerenza con la “valutazione dell’impatto generazionale delle leggi e degli interventi pubblici”, come esplicitamente promesso sia nel programma elettorale di Fratelli d’Italia sia in quello dell’intera coalizione che ha vinto le elezioni.
Alessandro Rosina è Professore di Demografia e Statistica Sociale all’Università Cattolica di Milano