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Opinioni
luglio, 2022

Non basta votare per dirsi cittadini responsabili

Occorre rinunciare ad un immaginario consolante che proietta nella delega alla migliore offerta politica la realizzazione del diritto a una società giusta

Provo a partire dall’articolo 49 della Costituzione: «Tutti cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Ora, la determinazione è certo un concetto di rapporto causa/effetto ma la delega non è l’unica forma di determinazione. Si può certo determinare la politica nazionale delegando inevitabilmente al potere legislativo le norme, ma anche certamente agendo in molteplici altri modi per la soluzione di svariati problemi concreti di ordine locale, sociale, culturale, comunicativo, etc. Peraltro le norme non formalmente dirimenti (si o no a un diritto) possono restare lettera morta senza una attività politica concreta e diffusa che le attualizzi.

 

Un esempio per tutti una norma che favorisse l’integrazione degli extracomunitari. Non mi risulta che il decalogo di Mosè abbia reso virtuosa tutta la comunità credente. Aggiungerei inoltre che la stessa attuazione della Costituzione non è un percorso di ordine etico deduttivo ma di ordine politico sperimentale. All’interno del paradigma occidentale della sovranità dei cittadini le elezioni sono una condizione necessaria per il riconoscimento di una democrazia formalmente intesa ma non certo una condizione sufficiente per il suo corretto esercizio.

 

Nello stesso tempo le aspettative diffuse sulla efficacia dell’azione governativa comportano una ingenua combinazione di pretese al benessere e alla giustizia sociale astrattamente implicita nell’aspettativa. Viene infatti accreditato, sia dalla comunicazione del sistema politico che dal sistema mediatico in genere, il diritto alle attese di ragionevolezza e efficacia governativa in funzione del bene comune dei cittadini i cui soli doveri consisterebbero nel peraltro non vincolante e sempre più disertato accesso al voto e nel sempre più aggirato dovere di contribuzione fiscale.

 

In Italia ma non solo, lo sbriciolamento organizzativo e operativo dei partiti nella fase attuale, mentre consente ancora l’esercizio della funzione di rappresentanza in ordine alla formazione delle Camere, ha prodotto l’abbandono preoccupante della altrettanto necessaria funzione di coinvolgimento attivo dei cittadini nella costruzione politica della società. Al mio punto di vista appare uno scenario paradossale e illusorio: una politica sempre più impotente che si legittima sulla base di una premessa virtuale che scommette sull’efficacia dei procedimenti formali per aspirare ragionevolmente a una società giusta, ignorando o sottovalutando l’enorme risorsa delle potenzialità di una cittadinanza messa nelle condizioni politiche di essere attiva. Poiché questa prospettiva è trascurata ideologicamente tanto meno è sperimentata politicamente.

 

Dunque si dà il trionfo verbale dell’espressione offerta politica: una democrazia concepita secondo il paradigma mercantile della domanda generica e della offerta specifica, nella competizione delle offerte, la cui composizione è fatta di programmi ovvero di dichiarazioni d’intenti peraltro quasi sempre prive delle modalità di attuazione, di facili slogan e di qualche figura che alternativamente li rappresenta. L’elaborazione delle prospettive sociali, un tempo attuata attraverso il coinvolgimento dei cittadini è ormai un ricordo. Peraltro questo ricordo aiuta a disambiguare la recente retorica diffusa del superamento dell’opposizione Destra/Sinistra. Mentre è vero che l’enunciazione più o meno autentica di alcuni valori tradizionalmente appartenenti alla sinistra – come lavoro e giustizia sociale – compare ormai anche nella destra, ciò che è insuperabile è la differenza radicale dei paradigmi di modalità di governo.

 

La Destra fa appello a un consenso elettorale che si esaurisce nella delega, la Sinistra fa appello (dovrebbe per natura appellarsi) a una partecipazione costante, nella triplice congiunzione di consenso elettorale, di deliberazioni condivise e sopratutto di un “partem capere” che implica iniziative di presa in carica diretta di aspetti della vita sociale, a tutti livelli, da parte di una cittadinanza su diversi campi. Dal controllo alla solidarietà, dai progetti a forme di autonomia e a esperienze comuni, secondo il modo più concreto di concepire la politica: occupazione reale di spazi, spazi di diritti, di formazione, di salario, di cultura, di innovazione ambientale, etc: un vero e proprio esercizio del kratos, potere diretto, che accompagni la delega all’archè, al comando.

 

Dunque occorrerebbe rinunciare ad un immaginario consolante che proietta nella delega alla migliore offerta politica la realizzazione del diritto a una società giusta. Viva il ruolo del Parlamento, viva il ruolo del governo, ma riviva la società responsabile del suo futuro.

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