Resistenti
Il governo tedesco ha sgomberato gli occupanti che volevano impedire l’allargamento della miniera a Lützerath. Ancora una volta diventa evidente che nessun miglioramento verrà dall’alto
di Diletta Bellotti
Con l’espansione di quella che si prospetta essere la miniera più grossa d’Europa, Garzweiler II, nel paesino di Lützerath, la Germania firma per l’apocalisse climatica e s’impegna a violare gli accordi di Parigi che limitano l’aumento della temperatura globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. La CO2 emessa nel bruciare la lignite estratta dalla miniera a cielo aperto, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, è equivalente a quella che emette l’intera Grecia in un anno. Fino a domenica scorsa, nel paese resisteva un solo contadino, Eckardt Heukamp, il resto del villaggio, ormai sfollato, era stato occupato da più di un centinaio di attivisti che si opponevano al suo fianco all’espansione della miniera da parte del gigante tedesco dell’energia Rwe.
Nelle seconda settimana di gennaio, il villaggio, occupato da più di due anni, è stato sgomberato da oltre ottomila poliziotti, mentre più di trentamila persone, confluite da tutto il mondo, resistevano tra barricate, tunnel e case sugli alberi. La multinazionale più inquinante d’Europa ha dichiarato che estrarrà 280 milioni di tonnellate di lignite entro il 2030. Sempre entro il 2030, invece, la Germania si era prefissata di ridurre le emissioni di CO2 del 65 per cento e di diventare carbon neutral entro il 2045; obiettivi climatici che ora sembrano essere completamente fuori portata e che invece invigoriscono l’unico, supremo e inarrestabile potere che plasma la contemporaneità: quello distruttivo, annichilente e totalizzante della catastrofe climatica.
Carlo Levi, nella prefazione del 1963 a “Cristo si è fermato a Eboli”, parla di «potenza contro il potere» e ne parla a proposito di un linea che non viene attraversata da chi è umano. A ogni passo falso, a ogni conferma di ipocrisia, i governi, forse inconsapevolmente, si scollano da una realtà urgente e fortificano, così, la potenza delle comunità resistenti contro il loro potere. Dal 2015, Ende Gelände ha organizzato in Germania azioni di disobbedienza civile di massa occupando varie miniere di carbone in Renania, in Lusazia e a Lipsia. Il nome del movimento riprende un’espressione tedesca che si può tradurre con «qui e non oltre», ma anche, più letteralmente forse, con «finis terrae», il limite della terra e, per estensione, un confine non valicabile.
I movimenti climatici chiedono la sopravvivenza sul pianeta Terra di tutte le specie viventi, chiedono di non toccare mai il punto di non ritorno, per farlo si affidano alla scienza e tracciano insieme ciò che non può essere oltrepassato, oltre al quale si sprofonda nel caos. Chiedono di ideare e realizzare un mondo più giusto, più equo.
Lützerath, in questo senso, era stato designato come «limite climatico»; nel distruggerlo, il governo tedesco non ha solo sfollato una comunità resistente, ma ha confermato, ancora una volta se si è prestata attenzione, che nessun cambiamento verrà dall’alto, ha reiterato la sua complicità e la sua assenza. Chi resiste deve, quindi, continuare a mobilitarsi oltre i confini dello scibile e dell’immaginabile. Così, chi detiene il potere, ironicamente, ha preteso dagli attivisti, europei e non, di rafforzare la loro organizzazione e la loro resistenza, fuori da ogni forma di governabilità.