Resistenti
Imparate a godere delle piccole cose: è questa la lezione del nuovo film di Wim Wenders
Hirayama, il protagonista di “Perfect Days”, incarna un modello di libertà per sottrazione. Una sorta di diserzione dalla società. E noi potremmo scoprire che è comunque di più di ciò che abbiamo
“Perfect Days” di Wim Wenders è un film esplicito sulla routine e la contemplazione di questa, sull’attenzione al dettaglio e la fascinazione verso le piccole cose della vita. Wenders ha dichiarato che Hirayama, il protagonista, è un ex manager che ha lasciato il lavoro per dedicarsi a una «vita più semplice». È rappresentato come un uomo devoto e di cultura, da alcuni spunti si intende che sia anche casto e alquanto pudico. Attivamente sganciato dal mondo, abdica al linguaggio e forse per questo sa ancora giocare e non ha perso lo stupore infantile: contempla ancora e si commuove. Il film sembra gridare: Hirayama non è alienato, sfugge, ha trovato l’inceppo, l’incastro giusto affinché una vita comunemente considerata indecente e umiliante sia invece affascinante.
Wenders sembra dire: «Guardate, proletari, guardate Hirayama come si gode la vita, imbottigliato nel traffico, bistrattato e solo. Non gli importa. Imparate a godere delle piccole cose così da godere del vostro posto nel mondo». Oltre alla fotografia e alla colonna sonora, l’unico altro punto interessante del film è la domanda, aperta, su chi sia un disertore nella società giapponese. Il film sembra anche suggerire dei piani di diserzione: Hirayama, ex manager e, alla vista della sorella, immaginiamo di appartenenza alto-borghese, molla tutto e lavora nella pulizia dei bagni pubblici di Tokyo, nel tempo libero s’intrattiene nel “mondo prima”, in analogico e indubbiamente più lento.
Il secondo piano è rappresentato dal personaggio senza fissa dimora che invece danza, colleziona rami e abbraccia alberi, diserta quindi dalla società tutta: abdica al ruolo produttivo in toto così come al modo, socialmente accettato, di vivere lo spazio, di attraversarlo e anche di interagire con la natura stessa. Il danzatore è il prossimo Hirayama: se questo infatti rifiutasse il credo del lavoro, la meticolosità e l’attenzione, se dovesse “impazzire” da un giorno all’altro, finirebbe probabilmente a vivere per strada. Hirayama si gode quindi “le piccole cose”, la musica e la letteratura, soprattutto la contemplazione degli alberi e la cura delle piante.
Al protagonista non pesa particolarmente svegliarsi all’alba, pulire i bagni pubblici e stare a contatto con le deiezioni della gente e persino dei ricchi spocchiosi; è contento della sua routine e riesce a trarne gioia. Tuttavia, è libero di godere del contatto con la natura solo nelle pause pranzo, solo trasportando un po’ di natura nel proprio appartamento, prendendosene cura, rendendola così dipendente dal suo annaffiare, quindi da sé stesso. E alcuni di noi forse pensano: «Questo è comunque più di quello che ho io» e questo dovrebbe farci rabbrividire.
Wenders suggerisce che il suo film è un’ode alla vita semplice, tuttavia la contemplazione del bello, così come la metodica “cura di sé” e la boccata d’aria offerta dalla letteratura suggeriscono piuttosto l’unico possibile meccanismo di difesa di un uomo che tenta di sopravvivere nella società tardo-capitalistica. Nell’epilogo del film, Nina Simone canta “freedom is mine”, Hirayama piange e noi prendiamo nota che forse sarà amara questa libertà, un po’ scadente e fatta di compromessi, vale la pena godersi i raggi del sole che filtrano dalle chiome degli alberi: è tutto ciò che ci è rimasto e va bene così, no? Mentre scorrono i titoli di coda mi pongo la solita domanda: questo racconto emancipa coloro di cui tratta?