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Politica
novembre, 2007

Quel poliziotto non doveva sparare

L'agente che ha ucciso Sandri ha compiuto un gesto folle. Ed è indifendibile. Parola di prefetto. Colloquio con Achille Serra

Il poliziotto che spara ad altezza d'uomo all'autogrill è indifendibile. La pistola? Non doveva neanche tirarla fuori. Achille Serra, trent'anni in polizia, non usa mezze parole per condannare la morte di Gabriele Sandri. Serra ha fatto il prefetto in città come Palermo e Roma, ha diretto la Questura di Milano e ha avuto a che fare con il terrorismo e con le piazze più violente. Oggi è l'Alto commissario per la lotta alla corruzione, e da una posizione del genere è ancora più libero di ragionare con franchezza sulla nostra ultima domenica di follia. Gli assalti alle caserme, però, secondo Serra non sono stati una reazione rabbiosa, "ma il frutto di una regia rapida e organizzata".

Che effetto le ha fatto la morte di Sandri?
"Ho passato una vita in polizia. Ne vado fiero ed è un'istituzione che difenderò sempre. Quando ero prefetto di Roma, ad esempio, difesi i poliziotti per gli scontri con i tifosi ubriachi del Manchester. Ma l'agente che ha ucciso quel ragazzo in autostrada mi sembra indifendibile. Siamo di fronte a un gesto folle, quasi da demente. La pistola non doveva manco tirarla fuori. Figurarsi sparare. L'arma può essere estratta solo in casi estremi, se c'è rischio della vita per qualcuno o per l'agente stesso. Non può essere impiegata mai come strumento d'ordine pubblico".

Neppure per sparare in aria?
"Se i tafferugli degenerano e c'è il rischio che qualcuno ci rimetta le penne, si può sparare per aria. Ma sembra che domenica, in quell'autogrill, ci fosse al massimo una piccola rissa tra due macchine. Forse il tifo nemmeno c'entrava...".

Un testimone ha visto il poliziotto sparare a braccia tese. L'agente rischia l'incriminazione per omicidio volontario. D'accordo?
"Alla volontarietà non posso credere. Tutto può essere, per carità, ma se fosse così saremmo di fronte a un episodio di follia. Roba da ricovero. In ogni caso resta il fatto che se in quel momento sull'autostrada fosse passata un'auto con dei bambini a bordo...".

Ci hanno pensato molti italiani. Un innocente è comunque morto.
"In un modo pazzesco. E ho molto apprezzato l'impegno immediato preso dal capo della polizia, Antonio Manganelli, di fare totale chiarezza su questa tragedia. Anche perché la polizia italiana non è questa".

Eppure c'è chi ha addebitato la morte di Gabriele Sandri al clima di 'repressione', all'enfasi su pacchetti-sicurezza e sui decreti del governo seguiti all'omicidio Reggiani. Lo ha fatto subito, ad esempio, il legale della famiglia Sandri.
"Polemiche sbagliate e dannose. Ripeto: domenica mattina è successa una cosa gravissima, ma totalmente pazzesca".

Anche la lentezza del Viminale è stata criticata. Visto che il fatto è avvenuto alle nove, forse se il ministro Amato fosse andato in tv a spiegare tutto e se i telegiornali avessero dato già all'ora di pranzo la notizia che non si giocava, si sarebbero evitate ore di violenze e altre follie.
"Probabile. Però credo che non sia stato facile capire subito cosa era successo. Vede, la morte di Gabriele è un evento talmente assurdo, che secondo me polizia e governo hanno faticato a ricostruire la dinamica dei fatti. Sul fatto di non giocare da nessuna parte, poi, avrei dei dubbi".

Quantomeno per 'par condicio' con la morte dell'ispettore Raciti. Molte tifoserie hanno fatto il seguente ragionamento: muore un poliziotto e si blocca tutto; muore un ragazzo e si gioca lo stesso.
"Equazione sbagliata. La morte di Raciti è avvenuta in uno stadio e purtroppo appartiene in qualche modo al mondo del calcio. Il poliziotto che spara all'autogrill non c'entra nulla. In ogni caso è stato giusto non giocare a Milano e Roma. Per gli altri campi, le valutazioni andavano fatte città per città e a seconda delle tifoserie e dell'afflusso allo stadio. A Bergamo non avrei giocato. A Torino e Siena, per dire, non mi sembra ci siano stati problemi".

Lei da prefetto di Roma si trovò a gestire l'incredibile derby Roma-Lazio del 2005, sospeso per ordine dei tifosi.
"Si era sparsa una notizia falsa: non era morto nessuno. Ma tre capi ultras minacciarono i capitani delle due squadre e alla fine non si giocò. Fu un errore. Gli steward sparirono letteralmente dallo stadio, lasciando i lucchetti chiusi ai cancelli. E ci sarebbe potuto scappare una tragedia tipo Heysell, se non fosse stato per la polizia che ha forzato i cancelli e ha fatto defluire 80 mila persone in sicurezza".

In ogni caso, domenica sera ci sono stati assalti alle caserme da parte di gruppi di tifosi. Uno spettacolo mai visto.
"Scene folli. Anche se mi viene in mente un precedente di un anno e mezzo fa a Napoli, in occasione di un Napoli-Roma di coppa Italia. Da prefetto di Roma feci giocare la gara di ritorno a porte chiuse e ovviamente ci fu chi mi criticò. Ma certe escalation di violenza vanno bloccate subito".

La tragedia dell'autogrill non c'entra con il calcio. Ma i fatti di domenica sera?
"Anche qui bisogna essere chiari: il calcio secondo me non c'entra. Spezzoni di tifoserie, magari rivali, che si mettono insieme contro la polizia, non rappresentano milioni di sportivi e di tifosi. Hanno in comune solo l'odio per la divisa e una matrice politica".

Destra o sinistra?
"Sono frange estreme. Esterne, per così dire, tanto alla destra quanto alla sinistra. Vale per i livornesi come per i laziali. Anzi, forse più che di matrice politica sarebbe corretto parlare di matrice 'politicante'. Però nulla è stato casuale".

Non è stata la reazione improvvisata e rabbiosa a una morte assurda?
"Neanche per sogno. Ma le pare possibile che in poche ore siano stati organizzati tutti quei cortei e gli assalti mirati? Impossibile. Una qualche regia, una volontà premeditata di strumentalizzare la tragedia e canalizzare una protesta contro le forze dell'ordine mi sembra innegabile".

E di chi sarebbe la regia?
"Non lo so, saranno le indagini ad appurarlo. Ma intanto mi sembra pienamente condivisibile l'impostazione della magistratura, che contesta ai fermati l'aggravante del terrorismo".

Guardiamo al futuro. Servono nuove leggi o misure più severe per gli stadi?
"Non credo. Ben vengano i 'daspo' (i divieti di andare allo stadio per i violenti, ndr) e i decreti approvati dal governo, ma il vero problema è la sindrome da impunità. Quando venne Bush a Roma, sulla carta si poteva rischiare un altro G8. Quando abbiamo visto un centinaio di violenti staccarsi da un corteo e attaccare la polizia, dall'elicottero ho dato ordine di non reagire. Le giuro, mi ribollivano le viscere a chiedere una cosa del genere ai miei ragazzi e a vedere quelle scene, ma abbiamo fatto bene. A fine giornata abbiamo individuato con le telecamere otto violenti e li abbiamo fermati".

Si sa che in occasioni del genere spesso si acchiappa la gente a caso.
"Per carità, succede. Infatti non direi nulla se la magistratura non avesse convalidato i fermi. Qui i fermi sono stati convalidati, ma i fermati sono stati rimandati subito a casa. Il problema è questo. Anche per i fatti di quel famoso derby capitolino: tre tizi bloccano un evento in mondovisione, vengono accompagnati in commissariato e la sera se ne tornano a casa a dormire. Lei come crede che si sentano? Dei semidèi. Se ne vanteranno tutta la vita. Ripeteranno quello che hanno fatto? Sicuramente sì. Eppure a volte bastano un po' di buonsenso e di fermezza".

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