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Politica
febbraio, 2008

Rompicapo nucleare

Il ritorno all'atomo costa troppo: per costruire le centrali, per stoccare le scorie e, alla fine, per dismettere gli impianti. Parola di super esperto Eni

Anticipiamo qui un brano di 'Con tutta l'energia possibile' (Sperling&Kupfer), il nuovo libro di Leonardo Maugeri, direttore Strategie dell'Eni, in uscita il 26 febbraio

La ricerca sull'energia nucleare ha goduto negli ultimi cinquant'anni della maggior parte dei finanziamenti pubblici dei governi dei paesi industrializzati, lasciando alle altre fonti alternative e a quelle fossili poche briciole, stimabili in un magro 10 per cento del totale. Questo immenso sforzo ha consentito di migliorare sensibilmente molti aspetti delle tecnologie e dell'ingegneria nucleare, ma non ha dissipato le principali ombre che da sempre la accompagnano.

Anzitutto, i reattori di nuova costruzione possono avere un ciclo di vita di sessant'anni - il doppio di quello del passato - il che rende possibile contare su profitti distribuiti su un arco assai più lungo di tempo, ottenendo così una maggiore competitività nella produzione di elettricità. Questo è un fattore molto importante per il futuro del nucleare, soprattutto se si considera che - a dispetto degli alti costi fissi necessari per costruire una centrale - i suoi costi variabili (o operativi, cioè quelli necessari al funzionamento ordinario della centrale) sono piuttosto bassi. Ma anche questo non basta a pareggiare i valori del chilowattora prodotto per via 'atomica' rispetto a quello generato da carbone o gas.

Secondo il Massachusetts Institute of Technology (Mit), la spesa di costruzione di una centrale nucleare nel 2003 era di circa 2 mila dollari per chilowatt (kw) installato, il che equivale a un costo di 2 miliardi di dollari per una centrale da mille mw: la stessa centrale alimentata a carbone - secondo il Mit - costava 1,3 miliardi, mentre una alimentata a gas 500 milioni di dollari. Considerando anche i costi operativi, il forte svantaggio iniziale del nucleare viene in buona parte ridotto, portando il costo complessivo del chilowattora prodotto da una centrale nucleare che operi per quarant'anni a 6,7 centesimi di dollaro, contro i 4,2 di quello di una centrale a carbone e i 4,1di quello di una centrale a gas. Il Mit ha anche stimato che nemmeno l'introduzione di una carbon tax di 50 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa da centrali a carbone o a gas renderebbe il nucleare più vantaggioso.

D'altra parte, non si può dimenticare che uno dei più formidabili ostacoli allo sviluppo dell'energia atomica in gran parte del mondo è proprio quello del tempo che trascorre tra la decisione e la realizzazione di una centrale. Nel quinquennio 2001-2005 è stata completata la realizzazione di 16 reattori la cui costruzione in media è avvenuta in 109 mesi. Aggiungendo a questo periodo il tempo necessario a ottenere permessi anticipati per i siti, le valutazioni di impatto ambientale nonché il raggiungimento del consenso delle comunità locali interessate e i lavori di connessione alla rete elettrica, i tempi effettivi si attestano in media sui 200 mesi, ovvero quasi vent'anni.

A penalizzare ulteriormente il nucleare sotto il profilo dei costi e della sicurezza sono poi i problemi derivanti dal trattamento delle scorie e del 'decommissioning' dell'impianto alla fine del suo ciclo di vita. Nell'Unione europea a 25, i rifiuti nucleari complessivi crescono di 40 mila metri cubi per anno, equivalenti a circa 100 mila tonnellate. L'accumulo delle sole scorie a più alta radioattività ammonta già a circa 17.500 tonnellate, con una produzione incrementale annua di oltre 1.700 tonnellate. Gli unici impianti industriali di ritrattamento di queste scorie sono situati a La Hague in Francia e Sellafield in Inghilterra. L'insieme di questi volumi è pari a quello di un edificio di 850 metri quadri di base e 30 metri di altezza (dieci piani), che aumenta ogni anno di 3 metri (un piano).

Anche sui costi del 'decommissioning' regna grande incertezza. Nel migliore dei casi, smantellare una centrale da 1.000 mw può costare mediamente dai 500 milioni di dollari (centrale raffreddata ad acqua) fino a un massimo di 2,6 miliardi di dollari per alcuni reattori inglesi di tipo Magnox raffreddati a gas, il che equivale economicamente grosso modo a costruire una nuova centrale nucleare della stessa dimensione. Questo spiega perché il costo di chiusura possa rivelarsi un peso insopportabile per quanti non lo abbiano opportunamente fatto pagare in bolletta nel corso degli anni.

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