"Siamo in una situazione tragica: come fai sbagli". Sospira preoccupato il senatore veltroniano Giorgio Tonini, all'indomani delle primarie di Milano, ragionando sull'imminente futuro del Pd. Tutto da scrivere, e molto dipenderà dall'evoluzione del pericolante governo Berlusconi. Ma la sconfitta lombarda è rimbalzata a Roma con la delicatezza di un uragano. Che fare? Si alzano subito voci di rimprovero alle primarie, che "rischiano di trasformare il Pd in un campo di battaglia per le scorrerie degli altri" (giudizio del senatore Marco Follini), ma soprattutto è sulle possibili alleanze per un governo di transizione o per affrontare le urne che si scatenano le anime del partito.
Stretto tra la sinistra radicale di Vendola e il Terzo polo di Casini e Fini, c'è il rischio per il Pd di ritrovarsi confinato in una morsa, ipotesi spauracchio per gli "indipendenti di centro" che temono di svegliarsi un giorno in un partito pericolosamente di sinistra. "Il voto di Milano disegna scenari su cui sarà bene riflettere prima che sia troppo tardi", avvisa Enrico Letta: cioè prima che il carismatico governatore della Puglia fagociti il Pd. Perché la vittoria di Pisapia su Boeri accende l'allarme, vista come lo spettro di quello che potrebbe essere un confronto nazionale Vendola-Bersani.
"Se tentassimo un'alleanza da Fini a Vendola, a parte che i centristi si sfilerebbero, ma poi ci ritroveremmo schiacciati tra quelli che prendono i voti moderati e la sinistra", mette in guardia l'ex popolare Giuseppe Fioroni. Di fronte alla crisi della maggioranza, la linea è cercare riparo in una "coalizione democratica" più ampia possibile. Un governo di transizione con tutti quelli disposti a starci, per allontanare le urne.
Ma anche in caso di elezioni non è tabù parlare di una grande federazione, magari da Fini a Vendola: "Sono gli elettori a chiederlo: la loro prima preoccupazione è impedire a Berlusconi di aggiudicarsi il 30 % e con quello diventare presidente della Repubblica", assicura Matteo Orfini, nuova leva dalemiana in segreteria. E se Vendola ha già fatto sapere che Fini non può essere un alleato, "se ne assumerà la responsabilità, qui si tratta di mettersi tutti insieme pur di salvare l'Italia". "Sommare un'alleanza che guarda a sinistra con una che guarda al Terzo polo non è una proposta di governo ma solo un'alleanza contro Berlusconi", boccia Tonini.
Bersani ha sempre cercato un rapporto con l'Udc di Casini, D'Alema non ha mai fatto mistero di individuare in lui un interlocutore privilegiato. La novità inattesa, però, è la sua vicinanza al presidente della Camera: allearsi al centro significa ora allearsi al Terzo polo, che include Fini, oltre a Lombardo e Rutelli. "Apparentemente ci sarebbe più sintonia con l'Idv e Vendola, in realtà però mi pare che con loro abbiamo in comune più la storia passata di quello che vogliamo fare", valuta Tonini: "Paradossalmente mi sembra più facile trovare una piattaforma comune con Casini e Fini. Certo, giustificare dinanzi all'elettorato l'alleanza con un ex leader del Msi non è facile", riconosce.
Tutto gira intorno all'idea di partito: "Se si costruisce un partito di sinistra tradizionale che appalta ad altri la funzione di conquistare gli elettori di centro, è inutile fare le primarie in un ridotto che porterà quasi sempre a un candidato minoritario", spiega il senatore Stefano Ceccanti. "In ogni modo", conclude Tonini, "è una situazione tragica: conseguenza dell'aver abbandonato la vocazione maggioritaria degli inizi".