Le elezioni regionali sono un'occasione da non perdere. C'è in gioco il futuro del Nord e anche della sinistra europea
Roma, piazza san Giovanni. Un Silvio Berlusconi davvero scatenato si rivolge alla sua folla dicendo: "In tre anni debelleremo il cancro". Ostrega. Non si sa se è una sparata in puro berlusconian style oppure una delle trovate inarrestabili del capo del governo, uno dei suoi exploit da ganassa. Di sicuro è la dimostrazione che il settantatreenne Berlusconi è convinto di essere immortale, forse grazie anche ai miracoli di don Verzè.
Ma in piazza san Giovanni, in una domenica di marzo, si sta verificando anche qualche cos'altro: l'unione mistica fra il capo e il popolo, fra il monarca assoluto e la sua gente. Le elezioni regionali vengono molto dopo. Come il Sovrano ha dichiarato, non si tratta di elezioni parziali, locali o regionali, ma l'ennesima prova di forza tra Silvio Berlusconi e tutti gli altri. Fra chi accetta il 'governo del fare', dei Bertolaso, del pronto intervento, dell'emergenza, e chi invece dice sempre di no.
Il film è già visto e stravisto. Tuttavia questa volta la posta in gioco è più alta del solito. C'è in gioco quasi tutto il Nord, e una egemonia che può manifestarsi su almeno quattro regioni fra le più importanti del paese. E in fondo Berlusconi ha ragione: la sua azione politica può diventare egemonica sulle aree più significative dell'Italia contemporanea, lasciando alle regioni rosse il ruolo di 'Lega centro', con una funzione politica poco più che residuale, nell'attesa che il modello emiliano spenda le ultime risorse.
Debellare malattie incurabili può appartenere all'Ego sovrano di Berlusconi, ma anche alla sua forza inesorabile. Nelle ultime settimane è riuscito ad attaccare i magistrati, convincendo forse del tutto gli italiani che il sistema della giustizia è decisamente malato, e occorre intervenire in profondità per 'debellare' il morbo che ha attaccato le radici stesse del sistema giudiziario. Probabilmente non ha convinto tutti, perché c'è ancora chi sostiene l'autonomia della magistratura, ma a poco a poco è riuscito a convincere una parte dell'opinione pubblica che i magistrati stiano conducendo una guerra mortale contro di lui, trasformando la politica in una battaglia giudiziaria senza quartiere.
Intanto, si sta sviluppando una partita senza quartiere in alcune regioni assai importanti, a cominciare dal Piemonte, dove la candidatura di Mercedes Bresso è a rischio, sotto la forte spinta del leghista Cota. Il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani sembra guardare con ottimismo al risultato piemontese, con lo sguardo accompagnato da quello prestigioso del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, ma non deve trascurare gli aspetti 'ideologici' della candidatura della Bresso: anche all'interno della Cei si è discusso a fondo degli aspetti 'abortisti' e laicisti della figura della candidata del Pd, giungendo a un giudizio sostanzialmente negativo che potrebbe avere effetti nefasti sul risultato finale.
I membri più avvertiti della Conferenza episcopale infatti hanno messo in luce che una sconfitta del centrosinistra in Piemonte avrebbe come effetto la consegna di quasi tutto il Nord alla Lega di Bossi, con esiti praticamente secessionisti. In queste condizioni, e in seguito alla grave crisi economica in cui il Settentrione si trova (una ricerca della Banca d'Italia ha mostrato che la produzione industriale è in arretrato di cento trimestri), sarebbero prevedibili risultati sociali fortemente conflittuali. Per ora sul piano della produzione sembra tenere soltanto il Veneto, mentre il tessuto industriale di piccola e media impresa emiliano sta flettendo anch'esso, con esiti molto negativi dal punto di vista dell'occupazione.
Insomma si stanno incrociando fenomeni di carattere assai diverso: da un lato il problema economico, dall'altro la questione ideologica. Nel Lazio, per esempio, la candidatura di Emma Bonino sta diventando conflittuale, specialmente verso la Roma tradizionale, quella clericale in particolare. Negli ultimi tempi esplosiva: per ora sembra che la candidatura della Bonino risulti ancora competitiva, anche se in condizioni limite; ma alla lunga si teme che il Pd possa essere penalizzato da una candidatura esterna, inventata lì per lì e staccata dal popolo.
Non parliamo poi delle competizioni nelle regioni meridionali, in cui la partita sembra spaventosamente in perdita. Con ogni probabilità la campagna di Emma Bonino risulterà la più emblematica politicamente, in parte perché coinvolge la capitale, e in parte perché investe la strategia complessiva dei democratici: il tentativo di cooptare una figura esterna come quella di 'Emma' costituisce un esempio tutt'altro che facile dal punto di vista politico. Nello stesso tempo la Bonino rappresenta un personaggio stimato quanto nello stesso tempo controverso, specialmente rispetto alla Roma più tradizionale.
Negli ultimi tempi si è lentamente formata l'idea che il Pd sia in recupero: ancor prima che sui numeri elettorali, sulle regioni conquistabili. Può darsi: ma un risultato 'tecnico' non convincerebbe l'opinione pubblica e soprattutto non sarebbe in grado di rilanciare il centrosinistra. Il quale ha bisogno di trovare un risultato importante anche sul piano numerico, per dimostrare di esistere. Per il centrosinistra italiano l'appuntamento di fine marzo è uno dei più cruciali fra le ultime tornate elettorali. Il Pd ci arriva in condizioni particolari, senza essere riuscito a creare il giusto amalgama fra la componente ex socialista e la parte cattolica e liberal-riformista del partito. Nello stesso tempo, c'è netta la sensazione che questo appuntamento non ha utili vie d'uscita. Non soltanto per Bersani, ma per tutto il gruppo dirigente del partito. E, in fondo, per tutta la prospettiva della sinistra europea.
Si aprono vie nuove per le sinistre, dopo la vittoria antisarkozista alle regionali in Francia; forse ci sono ancora opportunità per una politica progressista nei principali paesi europei. Perdere un'occasione come questa sarebbe perdere malamente una partita decisiva per il progressismo europeo.