Sono lontani i tempi delle elezioni regionali. Tre mesi che sembrano un'eternità: quando il Pdl e soprattutto la Lega vincevano ed era tutto un cinguettare di grandi riforme da fare entro la fine naturale della legislatura. E' durata poco: sono arrivati la lite tra Berlusconi e Fini, le fibrillazioni causate dalle dimissioni di Scajola e dalle inchieste sulla "cricca", le tensioni sul ddl intercettazioni e sulla manovra finanziaria. Ci mancava solo la nomina a ministro di Aldo Brancher, al fantasioso dicastero del "Decentramento e della sussidiarietà", a provocare attriti con i leghisti per via della titolarità del Federalismo. E non solo con loro: "Il Pdl è un partito allo sbando e il caso Brancher ha lasciato allibiti anche noi",, ha raccontato al Riformista un anonimo ministro del Pdl.
In questo panorama non proprio idilliaco, la tentazione si affaccia periodicamente: tornare a votare. Il primo a pensarci e a minacciarlo è Berlusconi, esasperato dai fermenti del suo stesso partito e dai "lacci e lacciuoli" imposti dalla Costituzione: "O mi lasciano governare o è meglio andare a votare". Lo evoca il Pd in momenti di particolare spavalderia: vedi Enrico Letta su Repubblica, "Berlusconi vuole le elezioni anticipate? Per noi va benissimo". Ma c'è un'effettiva possibilità di andare al voto anticipato? E a chi converrebbe?
"Ci sono fibrillazioni nel governo, è vero, ma non ci sono molte alternative al proseguimento della legislatura", ragiona il professor Alessandro Campi, direttore scientifico della finiana Fondazione FareFuturo. "Nessuno, tranne Berlusconi, vuole veramente le elezioni anticipate, sia a destra che a sinistra. Inoltre siamo in una situazione di crisi finanziaria, che tutto consente tranne far tornare il Paese alle urne. Il rischio però è quello di un esecutivo costretto a vivacchiare per tre anni, di una palude, per capirci". Il premier evoca spesso il voto, convinto che sarebbe un nuovo successo per lui... "A lui potrebbe convenire se, vincendo a mani basse, gli consentisse di togliersi qualche spina nel fianco, cioè i finiani. Ma attenzione a dare sempre la colpa agli altri delle proprie difficoltà, c'è il rischio di trovare continui alibi: magari ti liberi dei finiani per poi scoprire che ci sarà qualcun altro che non ti lascia governare. Nelle elezioni, poi, c'è sempre un margine di rischio. E in questa congiuntura economica andare a votare sarebbe un danno per il Paese".
"I numeri sono favorevoli al governo: sia in termini di maggioranza parlamentare, sia nell'opinione pubblica", spiega il sondaggista Nicola Piepoli: "Sarei sorpreso dalla fine anticipata della legislatura, e lo sarebbero anche gli italiani". C'è il rischio, insomma, che risulti oscuro agli elettori come un esecutivo con una maggioranza schiacciante possa non arrivare al termine del mandato. "Il governo ha molto da fare e ha l'appoggio del Paese. La strada è buona, una svolta negativa mi sembrerebbe improbabile".
Nonostante le minacce, mandare tutto all'aria potrebbe però non essere un atout nemmeno per il Cavaliere. "Votare è l'unico a cui converrebbe, perché stravincerebbe di nuovo: ma non glielo lasceranno fare", scuote la testa un azzurro. "Se dovesse finire questa legislatura partirebbero movimenti e accordi per andare, anziché alle urne, a un governissimo che lo fa a pezzi. Rischia che ha vinto le elezioni e si ritrova sui banchi dell'opposizione! A meno che non decida di far saltare tutto essendosi già garantito una nuova maggioranza, magari con l'Udc di Casini, e l'accordo del Quirinale".
Tra le fila dei berlusconiani, la maggioranza si professa contraria alle urne. Chi non ne vuole nemmeno sentire parlare, "adesso ci sono i Mondiali, non le elezioni, arrivederci", come il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri impegnato a vedere una partita degli ottavi di finale; chi le esclude categoricamente: vedi il sottosegretario Daniela Santanché, "con la grande manovra in atto può volere le elezioni solo chi non ha a cuore il proprio Paese". "Sarebbe una scelta irresponsabile", è della stessa opinione Nunzia De Girolamo, giovane e attiva deputata: "Non sarebbe un bene né per noi né per il Pd". Eppure, qualche fedelissimo del premier che dietro le quinte caldeggia l'ipotesi urne c'è: "Se ne parla, sì", ammette un azzurro che ci tiene a restare anonimo. Per liberarsi dai finiani, visto che con questo sistema elettorale, in cui a scegliere i candidati in lista è il capo, nuove elezioni vorrebbero dire epurazioni degli "infedeli".
Quei finiani che alle urne dovrebbero dimostrare il loro reale peso elettorale, secondo molti parecchio inferiore a quello mediatico, paventano rischi per il governo, come Italo Bocchino nei giorni caldi dell'affaire Brancher, a cui chiedeva a gran voce di rinunciare al legittimo impedimento "unica soluzione per evitare una lunga e complessa serie di problemi che potrebbe costare cara al governo". Ma poi assicurano, sempre Bocchino, che "la fine anticipata della legislatura è assolutamente da escludere. Non c'è una crisi nella capacità governativa, né una possibile alternativa da parte del Pd". Per loro, d'altronde, potrebbe essere molto rischiosa.
E i leghisti, che di questo governo secondo molti osservatori hanno la golden share? "Siamo fiduciosi che le cose stanno andando avanti per bene, i finiani contano come il due di picche... Per noi l'unica cosa che può creare problemi di stabilità al governo è se fosse messo a repentaglio l'attuazione del federalismo", spiega il deputato Paolo Grimoldi, che ha avuto il suo quarto d'ora di celebrità per una polemica sulla lettura di alcune parti del 'Diario di Anna Frank' nelle scuole. Per il Carroccio il federalismo è il solo obiettivo, tanto vicino ormai come non è mai stato: per il 30 giugno è prevista l'approvazione del secondo decreto attuativo, su fisco e costi standard. Il voto, a questo punto, sarebbe una pericolosa battuta d'arresto. Da evitare a tutti i costi.