Di un Presidente della Repubblica in genere si ricordano biografie discorsi pensieri, ma quando capita di poter avere un rapporto diretto, è come se tutta la sua attività pubblica si scindesse dall'immagine che ricevi dagli incontri privati. Il primo incontro con il Presidente Napolitano credo sia avvenuto il 2 giugno (o forse si trattava del primo giugno, perché poi il giorno successivo sarebbe stato impegnato nei festeggiamenti ufficiali) quando fui invitato al Quirinale in occasione della Festa della Repubblica.
Ero molto impacciato e credo fosse addirittura una delle primissime volte che indossavo la cravatta. Eravamo nei giardini del Quirinale, un luogo incantato. C'era un buffet, dove si poteva incontrare gente d'ogni tipo, da allenatori a noti artigiani, procuratori, attori: l'umanità più varia. Qualcuno all'epoca mi riconosceva nonostante fossi stato pochissime volte ospite in tv. Una persona mi disse: "Ti ho visto, ma non riesco a ricordare dove". Ci pensò un attimo e aggiunse: "Ah sì, sei un attore di un Posto al Sole!". Ovviamente risposi che sì, ero proprio io. A un certo punto, mi prende alla sprovvista una ragazza che dice di volermi presentare suo padre. Era la figlia di Francesco Rosi. Il grande maestro, il regista delle "Mani sulla città". Lo riconosco subito e accenno un sorriso. Quando sono imbarazzato non faccio altro che sorridere e abbassare gli occhi. Mi guardo i piedi, come a concentrarmi su altro. Rosi mi investì subito con energia.
Mentre il Presidente Napolitano passava in rassegna gli invitati, stringendo mani e scambiando parole con ciascuno di loro - erano tutti in fila ai lati di un vialetto - Francesco Rosi si catapulta rompendo questo strano ordine costituitosi spontaneamente, con una compostezza che pareva militare e inizia a urlare: "Giorgiooooo, Giorgioooo, Giorgioooo" col suo accento napoletano, "non salutare tutti questi vecchiacci, salutiamo i giovani. Vieni qua, te ne devo presentare uno!". E così il Presidente fu costretto a interrompere i saluti e a raggiungere il suo amico Francesco e me, che nel frattempo sentivo il viso rovente e la lingua impastata dalla vergogna. Napolitano mi guardò e mi disse: "In famiglia tutti abbiamo letto il libro, e ci è piaciuto eh! Siamo sostenitori!". Non riuscii a dire nulla, ringraziai soltanto.
Ma quel modo di conoscere il Presidente della Repubblica mi parve il più simpatico che potesse capitarmi. La seconda volta che lo incontrai fu di nuovo al Quirinale, per una proiezione privata di "Gomorra" e in quell'occasione oltre all'amico Francesco Rosi, c'era anche lo scrittore Raffaele La Capria. Mi colpì moltissimo sentire a un certo punto Napolitano chiedere a La Capria: "Dudù, ma tu li capisci?", intendendo il napoletano degli attori di "Gomorra", il secondiglianese. "Io a volte devo leggere i sottotitoli. Eppure è il dialetto mio". La Capria rispose: "Questa è un'altra lingua, Giorgio, non è più il nostro dialetto".
Pur non essendo una Repubblica presidenziale o forse proprio per questo, l'Italia ha avuto sempre un legame fortissimo con la figura del Presidente della Repubblica. Ma è vero che alcuni Presidenti sono entrati in armonia con il popolo italiano più di altri. Credo che la passione per Napolitano si debba ad alcune sue caratteristiche che lo rendono una persona umana e in grado di esprimere, persino nella fisicità, autorevolezza. Non autorità ma autorevolezza. È un uomo che riesce a entrate in empatia con l'altro.
Un'empatia che non si risolve in un po' di intimità godereccia, all'italiana. È un'empatia legata principalmente alla sua curiosità, alla sua voglia di capire. Il Presidente Napolitano mi è parso un uomo in grado di incuriosirsi davvero per qualsiasi cosa. Dal principio universale al dettaglio all'apparenza più insignificante del costume, tutto in lui sembra suscitare interesse e curiosità, e questa è una rarità in chi ha vissuto di politica. E poi conta la sua eleganza, il suo modo di essere alla sua età, sua moglie e la sua famiglia, tutto genera una sorta di immedesimazione del Presidente con la nazione stessa.
E in questi anni di difficoltà, di fronte allo sfascio della maggioranza berlusconiana, alle crisi, alle compravendite, le istituzioni si erano vestite di un'immagine sporca, compromessa oserei dire quasi per sempre. Napolitano è stato lì a ricordarne l'autorevolezza. Non a ricordare semplicemente la regola - non è un Presidente del "sorvegliare e punire" - ma a ridare importanza all'azione politica. Sottrarla al mercanteggiare perenne. In Napolitano avviene una sorta di sintesi in grado di mostrare che le istituzioni non sono autorevoli per legge, per decreto, per decisione, ma per comportamento, dedizione e senso. Ecco, credo che il talento di Napolitano come Presidente stia nell'averci restituito il senso delle istituzioni. Dove per le istituzioni avere senso significa essere in coerenza con la storia, con il percorso e l'obiettivo di un ruolo istituzionale indipendentemente dalle debolezze e persino dalle opinioni o dal pensiero di chi quel ruolo sta ricoprendo. Avere senso delle istituzioni non è obbedire al contesto o alla maggioranza, ma cercare di agire nel migliore dei modi come se la massima delle tue azioni possa divenire universale (per citare il vecchio Immanuel).
Ricordo una volta, ci incontrammo a Capri. Io sono napoletano eppure non c'ero mai stato. Fui invitato per un incontro letterario e come sempre spostarsi fu complicato. La visita sull'isola azzurra, che speravo potesse essere una breve vacanza di qualche ora, si risolse in un pomeriggio blindato. Col Presidente ci incontrammo nel suo albergo. Fu bellissimo perché mi raccontò di Curzio Malaparte. Napolitano credo abbia sempre avuto grande simpatia per lui, che è tra miei scrittori preferiti. Mi raccontò di quando ebbero i primi contatti, se non ricordo male, perché voleva invitarlo a scrivere su una rivista. Giorgio Napolitano era molto affascinato da Malaparte e lo andò a trovare nella sua villa di Capri.
L'autore de "La Pelle", forse il più bel libro mai scritto sull'inferno della guerra a Napoli, accettò di collaborare alla rivista ma alla condizione che sulla copertina non ci fossero i nomi dei collaboratori. Solo il colore rosso. Era in una fase di assoluto rigetto della vita dell'intellettuale borghese (di cui lo sfoggio in copertina gli sembrava la rivendicazione massima) e da dandy viveva tutto come posa estetica non rinunciando mai a credere sino in fondo e difendere le sue posizioni politiche con la più totale acribia. Malaparte dopo aver abbandonato il fascismo, dopo aver subìto una condanna al confino come antifascista, era diventato progressivamente un convinto maoista al punto che la famosa e incantevole villa di Capri l'ha lasciata in eredità proprio alla Repubblica popolare cinese. Ebbene, il Presidente mi raccontò un episodio avvenuto molto dopo quei loro primi incontri, di cui era stato testimone.
Curzio Malaparte, ormai malato, era in ospedale. Di lì a qualche giorno sarebbe morto. Era un viavai di amici che lo andavano a salutare per l'ultima volta. Tra loro Palmiro Togliatti, che considerava Malaparte il figliol prodigo, l'uomo che aveva amato il fascismo e poi lo aveva capito e rinnegato. L'uomo che aveva guardato con sospetto il terrore rosso ma poi aveva chiesto (e per molto gli era stata negata) la tessera del Pci. Insomma per i comunisti, come accade per cattolici e islamici, aver conquistato la pecorella smarrita valeva più di mille pecorelle già nate sulla giusta strada e quindi Togliatti andò a omaggiare pubblicamente Malaparte sul punto di morire. Appena uscì il segretario del Pci dalla stanza con gli occhiali appannati dalle lacrime, Malaparte disse: "Mamma mia com'è invecchiato Togliatti!".
Napolitano mi ha donato questo racconto che prezioso conservo e che spero mi ricorderà sempre quale deve essere l'attitudine di chi vuole raccontare il mondo. Persino sul letto di morte, guardare, guardare, guardare fuori. Che spero mi farà tornare sempre alla mente quella leggerezza necessaria - quasi illusoria - che ti fa pensare che le tue parole ti renderanno eterno. Anche questo credo sia un ruolo fondamentale, sedimentato in Giorgio Napolitano, ossia coniugare i valori del passato con la contemporaneità.
Una volta mi chiese del Casertano. Mi disse che era stato responsabile del Partito comunista in quelle terre di bufale e contadini, di violenza e guappi. E non riusciva a spiegarsi come fosse accaduto che il Sud, che quei contadini avessero lasciato avvelenare le loro terre dai rifiuti tossici. Io iniziai a raccontare le mie esperienze, quello che avevo visto e vissuto e la cosa che mi colpì fu che quella nostra discussione trovava nel Presidente spazio, spazio vero. Cercai di raccontare come i grandi centri commerciali, le grandi catene soprattutto del Nord, avessero contribuito al progressivo abbassamento dei prezzi comprando frutta all'estero, dalla Spagna al Medioriente. A quel punto i contadini iniziarono a dividere la loro terra, metà continuarono a coltivarla e metà la destinarono ai rifiuti per guadagnare e poter abbassare i prezzi della loro frutta. E così lentamente si è andati alla morte. Percepì in un attimo il dolore di quei luoghi che conosceva bene. E di cui conosceva gli anticorpi, le regole, la sacralità della terra.
La vera religione quasi pagana di tutto il Mezzogiorno: i limoni, le arance, le mandorle, le pesche, i fichi considerati da sempre divinità intoccabili. Eppure, quelle divinità, erano state profanate. In quei luoghi si sa, la terra è tua ma sarà poi dei tuoi nipoti, si sa che la ricchezza è la ricchezza del tuo sangue e se tu ci fai una discarica, sarà solo la tua rovina. Napolitano tutto questo lo comprende a fondo e il suo spirito unitario, la battaglia contro le derive secessioniste, non nasce solo dall'obbligo istituzionale, non è una questione di ruolo. Ma dal desiderio di dire, senza girarci troppo attorno, che questo Paese o è unito o non è. E che i dolori e le contraddizioni del sud Italia non sono solo colpa del sud Italia, e nemmeno sono solo colpa di qualcun altro. Insomma, in fin dei conti i miei sono solo ricordi di un cittadino italiano che deve qualcosa al suo Presidente. Che deve soprattutto vicinanza perché - e queste mie righe mi piacerebbe fossero anche un pubblico ringraziamento - nelle ore in cui fu svelato un piano della camorra contro di me, alla stampa nazionale e internazionale disse: "Ci prenderemo cura di lui".
Ecco, credo che così si sentano molti italiani. Grazie Presidente.
© 2011 Roberto Saviano / Agenzia Santachiara