Bersani cerca di serrare le fila e ci riprova con gli 'otto punti': ma il partito è pronto a frantumarsi tra quelli che vogliono l'accordo con il Pdl e quelli che non ci vogliono stare. E mentre i big litigano, Renzi si muove molto

La quiete prima della tempesta. La decisione del Presidente Giorgio Napolitano di dar vita alle due commissioni di "saggi" per le riforme istituzionali e le riforme economiche ha di fatto congelato anche la resa dei conti all'interno del Partito Democratico. Infatti, i democratici, dopo aver appoggiato all'unanimità il tentativo del segretario Pier Luigi Bersani di formare un governo di minoranza, potrebbero tornare a dividersi sul cosiddetto "piano B", ovvero l'alternativa al più che probabile fallimento del tentativo del segretario.

Il Pd è senza ombra di dubbio davanti alla prova più difficile da quando è nato. «Voi giornalisti - sussurra un dirigente piddino - non avete fatto altro che scrivere di un Pd pronto a spaccarsi nel passato. Invece, questa è la prima volta che c'è il rischio serio di frantumarsi».

LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
Il primo effetto ottenuto dalla mossa del Presidente della Repubblica è quella di aver invertito i tempi di nascita del governo e del l'elezione del suo successore al Colle. La speranza, neanche troppo recondita, è che la maggioranza che si formerà intorno al nome del Quirinale possa in qualche modo agevolare la creazione di una maggioranza di governo.

Cosa tutt'altro che facile. Anche perché il primo scoglio da superare per l'elezione del successore di Giorgio Napolitano è proprio all'interno del Partito Democratico. Non esiste un nome in grado di unire tutte le anime del partito, anche perché optare su un candidato rispetto ad un altro significa siglare accordi con una parte politica piuttosto che un'altra, con notevoli conseguenze anche sulla tenuta stessa del partito.

Eleggere come presidente della Repubblica Romano Prodi, cioè un uomo di parte, - viene fatto notare al Nazareno - potrebbe uccidere definitivamente ogni possibilità di tenere in piedi la legislatura, precipitando il paese direttamente alle urne. Senza contare che neanche la candidatura del professore - che pure è il padre fondatore del Pd - troverebbe consenzienti tutte le anime democratiche. Altrettante frizioni nel partito provocherebbero le candidature dell'ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, o, quella di Massimo D'Alema che, secondo i bene informati, starebbe lavorando nell'ombra per costruire una candidatura condivisa. Il nome più gettonato è quello di Franco Marini, già presidente del Senato, e con il sogno di un settennato al Quirinale mai sopito. «Alla fine - è pronto a scommettere un dirigente del Nazareno - l'ipotesi più probabile è che si trovi un accordo con Lista Civica di Mario Monti».

IL PIANO B
La soluzione alternativa al tentativo di Pier Luigi Bersani di creare un governo è la vera mina sul futuro del Partito Democratico. La maggioranza dei democratici, pur non volendo abbracciare il PdL in un'alleanza di governo, non ha alcuna intenzione di tornare alle urne. E, qualora questa evenienza dovesse avvenire, ormai solo nell'inner circle bersaniano c'è chi è disposto a puntare ancora una volta sul segretario come candidato premier.

«E'impensabile tornare a votare ancora una volta con questa legge elettorale - confida un deputato "renziano" - ci troveremmo tra tre mesi nella medesima situazione in cui siamo ora», con tutte le conseguenze finanziarie del caso. «Bisogna come minimo dar vita ad un governo di scopo che faccia almeno la riforma elettorale e la finanziaria». Tra i sostenitori di un governo del presidente e i fedelissimi del segretario, che non vedono alternative al suo governo, potrebbe aprirsi uno scontro piuttosto duro, che potrebbe lasciare segni indelebili nel tessuto dei democratici.

Intanto, nel pomeriggio di martedì, il Parlamento - all'unanimità - ha approvato una modifica al DEF (documento di economia e finanza) che sblocca 40 miliardi per i pagamenti della PA alle imprese. «Non è mai successo - racconta un senatore democratico - che si votasse tutti insieme una modifica al DEF. Questo significa che sulle singole cose in Parlamento si possono trovare dei punti di contatto. E' necessario un governo del Presidente che non inserisca nel suo programma punti politici, sui quali si è divisi da venti anni, ma che faccia alcune cose necessarie e limitate». Insomma, proprio quel «governo Monti senza Monti che il segretario democratico nelle stesse ore bocciava senza appello nel corso della sua conferenza stampa.

RENZI
Intanto il sindaco di Firenze continua a tessere la sua tela. Contrariamente a quanto si è letto Renzi non ha alcuna intenzione di arrivare a Palazzo Chigi in questo momento. Nel suo modo di intendere la politica la ricerca del consenso non è un elemento secondario. Renzi non accetterebbe mai, per capirci, di arrivare alla presidenza del Consiglio come fece Massimo D'Alema, cioè senza aver vinto le elezioni da candidato premier.

L'inquilino di Palazzo Vecchio, comunque, ha pre-allertato la sua squadra. Già a Pasqua, quando la situazione pareva stesse per precipitare i suoi uomini di fiducia erano a disposizione per eventuali riunioni urgenti: «Abbiamo alzato il livello di allarme» scherzano da Firenze. Quel che è certo è che, oltre a non aver nessuna intenzione di spaccare il partito, Renzi sta per riaccendere i motori del camper. E questa volta, potete starne sicuri, non sarà solo. Una buona parte della dirigenza del Pd ha capito che solo quello che fino a pochi mesi fa era il nemico pubblico numero uno della ditta, può salvare il partito dal fare la fine del Pasok, il partito democratico greco, il cui consenso è ormai ridotto ai minimi termini.

Un'altra parte, invece, continua a vedere nel rottamatore il nemico pubblico numero uno, colui che è pronto ad azzerare il finanziamento pubblico del partito, mettendo in dubbio la stessa esistenza delle federazioni, delle sezioni, di quella che Bersani ha soprannominato "la bocciofila".

Insomma, per ora la famigerata "analisi della sconfitta" è stata congelata dalla mossa di Napolitano, ma - come spesso è successo nella storia della sinistra italiana - non sarà indolore e senza conseguenze.