Nell'attesa della sentenza definitiva sul processo Mediaset, il centrodestra pur abbassando i toni, continua a lavorare sulla riforma. Sposando i referendum dei radicali e trovando alleati anche nel centrosinistra
di Luca Sappino
15 luglio 2013
«In Italia ci sono due emergenze: quella economica e il nodo giustizia». Per Mariastella Gelmini è quindi normale che la vita del governo sia appesa a questo filo. Anche perché la giustizia in questione non è solo quella che riguarda il capo, no. Pensa alla riforma complessiva, Gelmini. E anche Cicchitto, perché se una riforma non s'è mai fatta e «non è mai passata in Parlamento o è perché la sinistra si è messa di traverso o perché il centrodestra non ha trovato omogeneità sul tema».
Fortuna, allora, che ci sono i Radicali, con il loro referendum che «come ufficio di presidenza del Pdl» annuncia Gelmini, «abbiamo deciso sostenere». Al Pdl piacciono «i quesiti riguardanti la responsabilità civile dei magistrati, il rientro dei fuori ruolo, l'abolizione della custodia cautelare e la separazione delle carriere». Tema da sempre «caro ai Radicali ma anche a Forza Italia prima e al Pdl poi».
Non dite dunque che si parla solo dei processi di Berlusconi. La serrata del Parlamento è arrivata per un suo processo, ma non è quello il punto. Fabrizio Cicchitto è risoluto: «E' il momento di prendere il toro per le corna e ci muoveremo come struttura organizzativa». Perché la nuova Forza Italia sarà così: «Un partito che punta la 30%, un partito che si rivolge alla gran massa delle persone moderate, equilibrate, riformiste e garantiste».
La linea è quella dettata da Berlusconi, intervistato dal Giornale. Il leader ha frenato i pitoni e le pitonesse più animati: «Devo dire che certe volte quelli che vorrebbero agire come miei sostenitori accaniti, quelli più schierati e magari anche affettuosi, prendono posizioni esterne ed estreme che poi vengono attribuite a me e questo certe volte mi fa venire i brividi». Brividi che Berlusconi ha, perché «non mi aiuta e non aiuta la giustizia». Non come i referendum radicali, almeno. Lo spiega ancora Cicchitto: «nello spirito che anima l'intervista di Berlusconi c'è un richiamo di fondo a quello che era nel passato, e dovrà essere nel futuro, Forza Italia: un grande partito, non un gruppuscolo estremista e autolesionista che urla, sbraita, insulta e minaccia cosiddette azioni esemplari prese a prestito dal repertorio dei No-Tav». C'è l'ha con la proposta dei blocchi autostradali: un'idea di Daniela Santanchè.
Cos'è successo? Lo spiega Giuliano Ferrara: «Berlusconi ha capito che la fine della sua persecuzione coincide con la fine della sua mania di persecuzione», dice il direttore del Foglio intervistato dal Fatto. E non solo. Ferrara ne è convinto: «per Berlusconi la pacificazione è un fatto epocale». E forse la migliore delle ipoteche.
Perché se sotto indicazione di Berlusconi il Pdl abbandona i toni più barricaderi e si diletta con i referendum radicali, in attesa del 30 luglio, della sentenza definitiva sul processo per i diritti tv Mediaset (l'asso nella manica di chi nella Giunta per le autorizzazioni del Senato sostiene l'incandidabilità di Berlusconi, «prova della concessione») è l'alleato Pd a sminare le vicende personali del Cavaliere.
Il fastidio con cui deputati e senatori democratici accolgono l'ultimo mailbombing di Micromega sull'incandidabilità di Berlusconi, è infatti molto più di quello che potrebbe provocare un normale spam. Si passa dall'ironia della giovane deputata Giuditta Pini («Ci sono poche cose ti tirano su la giornata», scrive su Facebook, «come scoprire che sta per partire l'ennesimo mail bombing lanciato da Micromega»), alle minacce della senatrice Rosanna Filippin: «Capisco che ogni mezzo è buono, ma l'unico risultato che avete ottenuto», scrive a Micromega, «è quello di aver intasato la mia mail». Perché di cambiar idea sull'incandidabilità non se ne parla. Anzi, «spero la cosa finisca presto perché altrimenti dovrò far intervenire il Servizio Informatica e Sicurezza del Senato».
Poi c'è Mucchetti, l'ex vicedirettore del Corriere e oggi senatore Pd, con il suo ddl sull'incompatibilità. Potrebbe tagliare la testa a toro - che è pur sempre un modo per «prenderlo per le corna», come dice Cicchitto - aggiornando come giusto la legge del 1957, con l'unico inconveniente di dare altro tempo a Berlusconi. Mucchetti risponde alle critiche che arrivano, e a Grillo (che ha scritto: «Salvare ancora Berlusconi o dimostrare di essere qualcosa di più di un ectoplasma politico? Questo è il problema del Pd?») dice: «Mi chiedo se, finite le urla e le battute da avanspettacolo, l'M5s sia capace di ragionare oltre Berlusconi, su quale sia la regola buona per l'Italia». La legge migliore, quella che - come dice Epifani - «attendiamo da vent'anni»: una legge sul conflitto d'interessi. Il punto di vista è quindi rovesciato. L'Unità titola: "Conflitto d'interessi: contrari Grillo e Pdl". Dal gruppo 5 stelle alla Senato c'è una replica: «Capisci perché Berlusconi può abbassare i toni?». Non è così. Berlusconi non c'entra. «La data del 30 luglio incombe su una persona, non sulla legislatura», dice Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato e firmatario del ddl Mucchetti. «Non è possibile permettere che le decisioni della magistratura su una singola persona, anche se leader di un partito importante, condizionino la vita di un intero Paese. Questo equivarrebbe a mettere a rischio lo stesso sistema democratico».