La manifestazione renziana della Leopolda, arrivata alla sua quinta edizione, si regge anche sulle loro spalle. Abbiamo raccolto le loro storie per capire cosa ci fanno a Firenze

«Mi sono sentita accolta»: la ventiquattrenne che sale subito dopo Matteo Renzi sul palco della quinta edizione della Leopolda, convention renziana che ha appena aperto i battenti a Firenze, spiega in questo modo la sua presenza.

Se - come spiega il Presidente del Consiglio nel suo intervento d’apertura - i fili conduttori delle edizioni precedenti sono stati la rottamazione ed il desiderio di scalare l’establishment di un paese immobile, probabilmente il tema dell’accoglienza sta alla base della Leopolda 2014.

“Il futuro è solo l’inizio”, recita il claim dell’edizione. E a questo futuro Matteo Renzi ha invitato un po’ tutti: dall’avversario interno del momento, quel Pippo Civati che prese parte alla prima Leopolda e che oggi sfila in piazza a Roma, al corteo Cgil, ai bambini che giocano subito accanto al palco, passando per i numerosi volontari.

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Vengono da tutta Italia: c’è chi, come Francesco – 29 anni, futuro medico – ci ha messo un giorno e mezzo per raggiungere Firenze partendo da Palermo. «Mi ha conquistato il linguaggio chiaro di Matteo Renzi, sono qui perché sento che si superato il tradizionale distacco che separava tanti ventenni come me dalla politica».

«Volevo partecipare, non essere solo uno spettatore della politica»: occhi al monitor, dove scorre il flusso dei tweet sull’evento, Benedetto – 25 anni, pubblicitario della provincia di Salerno – non ha mezzi termini: «non mi interessa, oggi, essere in piazza per difendere diritti dai quali non sono tutelato, che non mi toccano. Qui posso fare, non solo dire».

L’idealtipo del volontario leopoldino viene fuori ascoltando le storie di chi è al banco della Pd Community, la comunità di militanti impegnati a convogliare, coordinare la comunicazione del Partito Democratico, voluta da Francesco Nicodemo durante i suoi mesi da membro della segreteria Renzi. Venti-trentenni, precari, precarissimi. «Volevo esserci, anche se avevo ed ho un budget limitato, perciò ho rimediato un passaggio per essere qui», racconta Giulia, assistente di volo per Alitalia, 28 anni e già 10 anni di precariato alle spalle: «sento che il nostro paese ha ancora qualcosa di buono su cui lavorare, sono alla Leopolda per farlo».

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La Leopolda crea anche storie d’amore, o quasi: Giulia qui ha trovato la sorella che non aveva: è Chiara, 27 anni, in arrivo da Milano, addetto stampa ed esperta di comunicazione politica, precaria, ça va sans dire. Chiara e Giulia da quando si sono trovate alla scorsa edizione della Leopolda non si sono più lasciate: oggi entrambe sono membri della Pd community, twittano all’unisono e si concedono vacanze low cost assieme. «È dal 2011 che vengo alla Leopolda; sono un’iscritta ed una militante Pd, nel mio circolo gli altri iscritti hanno fatto di tutto per dissuadermi. Mi dicevano che Matteo Renzi avrebbe distrutto il partito, avrebbe spazzato via i circoli. Io non ci ho creduto ed ho continuato a venire qui», racconta Chiara.

Della leggendaria dicotomia fra la tradizionale struttura in circoli del Partito Democratico, frutto della storia delle formazioni politiche da cui discende, ed il modello di partito comunità renziano, di cui la Leopolda è punta di diamante, ci parla Matilde. 32 anni, una storia di militanza politica iniziata quando ancora esistevano i Ds, Matilde è stata segretario di circolo già due volte: «chi fa politica sul territorio, sa che quanto propone dice Matteo Renzi, quando parla di fundraising, è un qualcosa di già esistente, da anni; sa che il graduale azzeramento dei rimborsi pubblici non tocca i circoli, che già non vedevano un euro da anni».

Matilde sa di essere parte di quella storia di apparato di partito che oggi, in larga parte, resiste all’onda renziana: «negli anni passati, per dovere verso il partito, dovevo andare agli appuntamenti paralleli alla Leopolda, quella che Renzi chiama la “contro programmazione”. Quest’anno, finalmente, ho potuto venire qui».

La riprova che il Pd c’è: si vede poco – niente bandiere, niente loghi, niente spillette al bavero – ma il corpaccione democratico, quello delle assemblee di circolo, non è così distante dal palco della Leopolda.