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Politica
aprile, 2014

A Strasburgo l'eurodeputato è part time

I nostri politici hanno promesso un impegno a tempo pieno, ma appena hanno potuto non hanno perso occasione per dimettersi e tornare in Italia.  A guidare la classifica sono gli eletti del Pd. Mentre all'estero solo i francesi hanno fatto peggio

“Ce lo chiede l’Europa”. Poche frasi fatte sono in grado di rendere meglio quanto la Ue sia diventata il comodo paravento per chiedere, a seconda delle circostanze, sacrifici, privatizzazioni o le immancabili riforme strutturali.

A giudicare dalla serietà con cui prendono l’impegno a Strasburgo, però, si direbbe che i nostri rappresentanti considerino l’Europarlamento un impegno da non prendere senza troppo zelo, come mostrano le recenti accuse di assenteismo mosse al segretario leghista Matteo Salvini, o un esilio dorato da cui scappare non appena si profila un incarico in Italia.

Negli ultimi cinque anni, su 73 eurodeputati sono 7 quelli che hanno presentato le loro dimissioni. Solo i francesi hanno avuto meno considerazione per il Parlamento europeo, con 13 parlamentari che hanno abbandonato prima della scadenza. In compenso siamo “davanti” agli spagnoli (6), ai greci e ai tedeschi (5), come mostra la tabella elaborata dall’Espresso.



Il primato spetta al Partito democratico, i cui eurodeputati sembrano aver avuto una concezione assai “temporanea” del loro incarico: su 21 eletti, 4 hanno lasciato in anticipo. Una opinione che non ha cambiato verso nemmeno nel Pd a guida renziana, dal momento che fra gli 83 candidati alle europee di maggio moltissimi hanno già incarichi istituzionali. A cominciare dalle capolista donne, quattro delle quali sono state elette appena un anno fa alla Camera: Alessia Morani, Alessandra Moretti, Simona Bonafè e Pina Picierno. Oltre a sei consiglieri regionali, tre assessori e sette sindaci.

MAGLIA NERA SARDA
Emblematico è il caso dell’attuale sottosegretario dei beni culturali e del turismo Francesca Barracciu, che ha mostrato di considerare l’impegno in Europa come un diversivo fra un incarico e un altro. Rieletta consigliera regionale del Pd in Sardegna a febbraio 2009, dopo poche settimane fu inserita in lista anche per le Europee. Ottenne 116.844 preferenze (grazie anche al fatto di essere l’unica sarda in lista) ma non bastarono. Tre anni dopo, però, a mandarla in Europa ci ha pensato Rosario Crocetta, un altro eurodeputato democratico che ha lasciato l’incarico a metà mandato: l’ex sindaco di Gela si candida a governatore della Sicilia e per la Barracciu si aprono le porte di Bruxelles. In realtà la consigliera potrebbe rinunciare e continuare il suo impegno a Cagliari, visto che il suo nome già circola come candidato governatore. Lei invece si dimette da consigliera regionale e vola in Europa.


Il resto è storia recente: la vittoria alle primarie, l’indagine per peculato nella Rimborsopoli sarda (33 mila euro di spese benzina), la richiesta di Matteo Renzi di fare un passo indietro, la nomina “compensativa” a sottosegretario. Ciliegina sulla torta, lo scorso 11 marzo: le dimissioni da europarlamentare. Alla fine, insomma, la Barracciu è stata a Strasburgo 15 mesi in tutto.


AMMINISTRATORI INTERNATIONAL
Cinque anni fa Luigi De Magistris era stato chiaro: «Non mi è stato consentito di fare il pubblico ministero. La decisione di candidarmi mi consente di proseguire il mio impegno». Fu un trionfo: in tutta Italia furono 419.264 gli elettori che scrissero il nome dell’ex pm sulla scheda, che surclassò perfino il leader Antonio Di Pietro e trascinò l’Italia dei valori all’8 per cento, pari a quasi due milioni e mezzo di voti. Anche in questo caso, però, la promessa di un impegno quinquennale è rimasta sulla carta, visto che dopo appena due anni De Magistris si è dimesso per candidarsi sindaco di Napoli dopo un lungo tira e molla.


In ogni caso l’ex magistrato non è l’unico amministratore locale divenuto tale dopo aver usato le europee come trampolino di lancio. Oltre al già citato Crocetta, nella lista compare infatti anche un’altra rivelazione del voto del 2009: Debora Serracchiani. Salita alla ribalta grazie a un intervento all’Assemblea nazionale da questa sconosciuta militante Pd, dopo poche settimane riuscì a prendere in Friuli perfino più preferenze del dilagante Silvio Berlusconi, che a un anno dalle politiche era ancora in luna di miele con gli italiani. «Metteremo tutto l'impegno perché questa Italia abbia assolutamente una voce in Europa, perché torni a essere credibile» assicurò lei. Ma dopo nemmeno quattro anni, anche lei ha gettato la spugna per diventare governatrice in Friuli. Altro impegno che rischia di essere part time, dal momento che adesso dovrà conciliarlo con quello di vicesegretario del Partito democratico.


IL FASCINO DISCRETO DEL LODEN
A pochi mesi dalle elezioni politiche dello scorso anno, con Berlusconi ai minimi storici e Mario Monti a Palazzo Chigi pronto a scendere in pista, una sindrome pare essersi diffusa fra i banchi italiani: il richiamo del loden. Il primo a essere colpito è stato Gabriele Albertini (eletto col Pdl), che già dal 2010 aveva provato a riproporsi come primo cittadino per il Terzo polo. Lo scorso anno si è candidato governatore della Lombardia raccogliendo un misero 4%. Poco male: essendo contemporaneamente anche capolista di Scelta civica in Lombardia, quello stesso giorno è diventato senatore. Con tanti saluti a Strasburgo.


Due posizioni più in basso figurava un altro europarlamentare: Mario Mauro, ex berlusconiano “last minute” che fino a poche settimane prima guidava la delegazione del Pdl a Strasburgo. Ma il montismo (e il richiamo di un seggio in Italia) ha contagiato anche l’eurodeputato Gianluca Susta, eletto nel 2009 col Pd e vicino a Luca Cordero di Montezemolo. Ironia del destino: Susta era subentrato nel 2006 a Strasburgo a Pier Luigi Bersani, che si era dimesso per andare a fare il ministro nel governo Prodi.


Eppure il fuoco sacro per il governo dei tecnici è stato assai fatuo, a giudicare dall’epilogo della love story. A oggi solo Susta (capogruppo al Senato) è rimasto con Monti. Mauro, dopo aver lasciato il Professore, è tornato a cinguettare con l’Udc di Pier Ferdinando Casini in vista delle nuove elezioni europee. Albertini lo ha seguito ma dopo poche settimane è approdato nel Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Fra cui banchi - paradosso - ha ritrovato quel Roberto Formigoni con cui lo scorso anno se le diede (verbalmente) di santa ragione. L’accusa? Quella di pensare solo alle poltrone...

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