Sono necessari almeno tre elementi per definire qualcuno "populista", una definizione spesso riferita al solo leader del Movimento 5 Stelle ma che si adatta bene anche all'ex rottamatore e al vescovo di Roma. La differenza tra loro la fanno le tendenze totalitarie

Beppe Grillo
Si dice: Beppe Grillo è populista. Ma che vuol dire? Nel senso comune il termine finisce per somigliare molto a quello di «arruffapopolo»: un comiziante esagitato che sollecita i peggiori istinti della plebe. Pena di morte per i pedofili, via gli stranieri, politici tutti in galera… Niente di nuovo sotto il sole, parrebbe. In altri tempi Umberto Bossi e Gianfranco Fini dicevano più o meno le stesse cose e nessuno li trattava da «populisti»: secessionisti magari o fascisti o forcaioli. Ma populisti no. Allora?

Gli scienziati della politica ci dicono che il populismo moderno - lasciamo perdere i russi che attentavano allo zar o i descamisados di Peron nell’Argentina degli anni quaranta - è fatto di tre cose: l’idea del popolo come blocco unico positivo in contrapposizione all’altro blocco unico negativo impersonato dalle istituzioni, un rapporto diretto tra leader e massa, un uso sapiente dei media. Come si vede, in modo abbastanza sorprendente le scienze politiche non collocano automaticamente il populismo a destra. Avrebbero difficoltà a farlo perché democrazia significa governo del popolo, la costituzione degli Stati Uniti comincia con «We, the people» (cioè per l'appunto «Noi, il popolo») eccetera. Quindi preferiscono parlare di populismo come degenerazione della democrazia: quando il riferimento al popolo (senza il quale non c’è democrazia) viene esagerato oltre certi limiti.

Alla pari di tutte le altre scienze sociali, anche la politologia funziona un po’ come quei mobili (moderni anche loro) che chiamano «modulari» cioè fatti di pezzetti che si possono montare insieme oppure no. In parole povere: sei populista davvero se barri tutte e tre le crocette. Vediamo se funziona. E prima di arrivare a Grillo facciamo un altro esempio.
Papa Francesco in piazza san Pietro

Papa Francesco la prima casella (o pezzo di mobile) la prende solo di striscio: la religione non può fare distinzioni di classe sociale, di lingua, nemmeno di religione. Deve parlare a tutti, per definizione. Quindi il popolo è inteso come un blocco unico, ma non da lanciare contro tutte le istituzioni e tutti i politici. Anzi il Papa punta più a scomporre quel blocco indifferenziato in tante persone diverse (ognuna da convertire, da migliorare) che non a mobilitarlo in una crociata contro qualcuno. Quest’ultima cosa l’ha già fatta in altri tempi (più lontani di quelli di Bossi e Fini) e non gli ha detto tanto bene. Anzi il popolo secondo Francesco non può escludere nessuno: e qui si torna a parlare di destra e sinistra. Perché Le Pen padre e figlia, i vecchi Bossi e Fini, e i vari altri populismi europei (di destra, appunto) declinano il concetto di popolo in forma esclusiva, mettendo fuori gli altri: immigrati, musulmani, ecc. Rifiutano sdegnati l’etichetta di razzisti ma di fatto il loro popolo comprende solo qualcuno ed esclude tutti gli altri.

Va bene, però la seconda casella Papa Francesco la prende in pieno. Folle festanti, papamobile, bambini in braccio, persino i selfie col telefonino (con cui si sconfina nella terza casella). Un uomo solo al comando. Qui ci soccorre Max Weber, uno dei padri nobili della sociologia, che - ben prima di Lenin, Mussolini e Hitler - ha inventato la distinzione tra autorità razionale e autorità carismatica. La prima la riconosciamo tutti i giorni al capufficio, al salumiere, al professore: è un’autorità legata a un ruolo sociale e alle particolari competenze da esso implicate. Possono esserci professori o salumieri peggiori o migliori ma comunque quel ruolo hanno e per quella ragione ci servono: attenzione, sono loro che servono noi e non viceversa. L’autorità carismatica invece deriva da parola greca (carisma: qualcosa di misto tra dono e missione) e non è razionale: è il fascino esercitato dalla retorica, dalla gestualità, dallo sguardo. Non dalla competenza. Nel leader carismatico tendiamo a immedesimarci, ad affidargli il nostro futuro perché ci piace. Siamo noi che inconsapevolmente serviamo lui e non viceversa.

Gandhi usava il sari (quel vestito bianco che non abbandonò mai) come simbolo di un’identità nazionale diversa dall’Occidente colonialista, che l’India doveva recuperare. Per la Chiesa cattolica il carisma ha un altro simbolo, sempre bianco ma sotto forma di colomba: si chiama Spirito Santo e impersona la saggezza di Dio che cala sul Papa. Ogni pontefice lo traduce a modo suo: Ratzinger (tedesco) era molto diverso da Bergoglio (argentino), e anche Woytila (polacco). L’autorità carismatica si converte in totalitaria se tende a distruggere ogni forma intermedia di organizzazione della società. Per esempio se riconosce soltanto il proprio, di partiti, o di sindacati. Forse fino a Pio XII questa tentazione i papi romani l’hanno avuta, dopo direi di no. La scomunica dei comunisti (1949) l’hanno abbastanza lasciata a candire in un cassetto, Woytila con i comunisti ce l’aveva e ha fatto quanto era possibile per farli crollare, ma allo scopo di avere più partiti, non uno solo. Insomma: Francesco è populista ma non totalitario.

E qui si ritorna a Grillo. Prima casella, presa. Con qualche scivolamento verso destra, ad esempio quando parla degli immigrati (che contribuiscono al 12% del nostro Pil, pagano il 4% delle nostre entrate fiscali ma non devono avere diritto di voto, secondo lui). La terza casella, tra popolo del web e referendarie, non se ne parla nemmeno. Seconda casella, presa. Populismo, dunque. Ma autorità carismatica o totalitaria? Li tollera gli altri partiti, Grillo? C’è spazio per il dissenso dentro il suo, di partiti? Se uno dice arriveremo al 100% dei voti e soprattutto se si comporta come se gli altri partiti non esistessero rifiutando ogni collaborazione, che tipo di democrazia ha in testa? A queste domande il leader carismatico e i suoi fedeli rispondono: noi portiamo una nuova democrazia dove non ci sono più partiti ma i cittadini che interagiscono tra loro con la rete. Democrazia diretta. Eh no! Il nostro vecchio signor Max (Weber) si rivolta nella tomba.

La democrazia diretta va bene per società piccole ed elementari, come quella ateniese dei tempi antichi (che comunque le sue magagne le aveva: escludeva donne e schiavi, ad esempio). In società grandi e complesse se il popolo non ha forme intermedie di associazione (partiti, sindacati), diventa una massa amorfa, manipolabile a piacimento. Massa amorfa: termine che Hannah Arendt applicava ai tedeschi sotto Hitler, che infatti (come Mussolini) li governava a colpi di referendum: senza alternative (forme intermedie plurali di associazione) non restava che votare per il leader carismatico. Che mi pare sia quanto accade dentro il movimento di Grillo, con relativo corredo di reazioni scomposte quando si manifesta un dissenso. La democrazia invece è proprio l’accoglienza e la gestione pacifica del dissenso: senza, non c’è democrazia. Quindi Grillo populista con tendenze totalitarie.
Matteo Renzi con il ministor della difesa Pinotti

E adesso arriva la coda velenosa: è populista Matteo Renzi? Prima casella: sì (il vecchio si rottama nel nome della gente) con qualche distinguo che dentro il popolo tende a stabilire differenze (gli 80 euro a una certa fascia di popolazione, per esempio). Seconda e terza casella sì, senza esitazioni. Derive totalitarie? Direi di no, altrettanto risolutamente. Anche i professori di diritto che l’accusavano di riformismo autoritario hanno fatto marcia indietro. In fondo ha vinto delle primarie, il dissenso non lo vede come il fumo negli occhi e cerca di gestirlo senza espulsioni. Magari il problema è che il popolo di sinistra il leader carismatico lo preferisce dimesso (Berlinguer), se fa troppo il gallo finisce per assomigliare all’arruffapopolo da cui siamo partiti. E scattano riflessi d’ordine automatico antifascista. Prima Mussolini e poi Berlusconi hanno vaccinato il popolo italiano di sinistra in tal senso.

L’uomo solo al comando fa sempre paura e la sinistra è affezionata al «noi»: all’idea che la democrazia funziona meglio con le teste di tanti. Ineccepibile. Quando però le famose forme intermedie di associazione (partiti, sindacati) funzionano bene e riescono a sintetizzare il «noi» in capacità di risolvere i problemi. Diventando loro le autorità (insieme) razionali e carismatiche, perché capaci di coniugare le competenze e il fascino in un progetto di futuro. Difficile pensare che i partiti e i sindacati italiani oggi siano all’altezza. E allora ecco il momento del leader. Con una precisazione. Rispetto ad altri leader carismatici della storia d’Italia, Renzi ha alcuni vantaggi: non ha una guerra alle spalle e la violenza che ne consegue, come Mussolini; non ha interessi economici pencolanti da salvaguardare, come Berlusconi. Può quindi viaggiare più leggero (e veloce). Ma la strada è molto stretta e difficile: chiedere a Obama, per chiarimenti in materia.