Destinataria di tanta rabbia è la Corte costituzionale, che ha appena bollato come inammissibile il referendum promosso dal Carroccio per abrogare la riforma delle pensioni targata Fornero.
Lo sdegno è soprattutto leghista, ma non solo. Anche la Sel Loredana De Petris, presidente al Senato del gruppo Misto, definisce “gravissima e incomprensibile” la decisione, mettendo l’accento sui margini di discrezionalità della Corte.

Appena fuori dalla foga politica delle varie fazioni, però, la scelta è definita per lo più scontata. “Prevedibile”, la definisce il costituzionalista Stefano Ceccanti, già senatore Pd, che – in attesa la Consulta pubblichi le motivazioni della sentenza - spiega all’Espresso perché è finita così.
Non è soltanto che l’articolo 75 della Costituzione stabilisce non poter essere sottoposte a referendum le leggi di bilancio. C’è, in particolare, un precedente specifico: “La Consulta si è già pronunciata sulla materia: era il 1994, e la richiesta di referendum riguardava la riforma pensionistica di Amato. Ebbene la sentenza 2/94, nel ritenere inammissibile il quesito, spiegava esplicitamente che anche le riforme pensionistiche rientrano nelle leggi di bilancio”, chiarisce Ceccanti.

In particolare, al punto 7 di quella sentenza, si dice che “gli effetti dell'atto legislativo oggetto delle richieste referendarie (ossia la riforma del sistema previdenziale, ndr) risultano strettamente collegati nel tempo all'ambito di operatività delle leggi di bilancio”, e dunque “incidono” su quelle leggi, perché – stando ai casi dell’epoca – venivano considerate nel Dpef tra “le riduzioni di spesa (…) dirette ad assicurare l'azzeramento del disavanzo corrente”, o perché ne venivano considerati in Finanziaria “gli effetti ai fini dell'equilibrio finanziario e di bilancio”.
Ma c’è di più, argomenta Ceccanti. “All’argomento materiale, per cui sulle riforme previdenziali la Corte si è già espressa, bisogna aggiungere anche una questione di forma: la riforma Fornero stava nel Salva-Italia, cioè era proprio un pezzo della manovra di bilancio. E’ una circostanza che rafforza ulteriormente la decisione presa oggi dalla Corte”.
Salvini però, e non è il solo, punta il dito sullla discrezionalità della sentenza. Dice che è “una scelta politica” e che il costituzionalista Luca Antonini, che gli ha steso il parere di ammissibilità, era d’opposto avviso. “Per carità, tutto si può criticare, di tutto si può discutere e rispetto Antonini. Ma, in ogni caso, non è semplice per la corte discostarsi da un precedente così chiaro”, dice Ceccanti.
E il referendum sulla scala mobile del 1984? Quello fu ammesso.
“All’epoca si discusse a lungo sulla sua ammissibilità. Perché l’articolo 75 della costituzione dice che non si possono sottoporre a referendum le leggi di bilancio, ma non le definisce. Quindi il tema è: cosa è legge di bilancio e cosa no? E’ chiaro che non vi si possano ricomprendere tutte le leggi che incidano sul bilancio dello Stato. Ma è chiaro pure che non può essere soltanto la finanziaria in senso stretto”.
In effetti, sempre nella sentenza 2/94 della Consulta vi è un accenno anche a questo, al punto 5 in cui si dice che bisogna dare “un’interpretazione logico-sistematica” dell’articolo 75, “per valutare, nei singoli casi, se le leggi che assumono funzione di provvedimenti collegati alla legge finanziaria, al di là della loro qualificazione formale (…) presentino ‘effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività’ delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa”.
Insomma, non si può dare “valutazioni frazionate e avulse dal quadro della compatibilità generale”, quando “le leggi incidono in modo rilevante nell’ambito dell’operatività delle leggi di bilancio”. E una eventuale abrogazione della legge Fornero, come fa notare il sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova, produrrebbe “un buco nei conti previdenziali” che “peserebbe sul bilancio pubblico” in una misura che dà i brividi solo immaginare.