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Non è, insomma, un momento felice per il governo. Perché i protagonisti delle commedie andate in scena sui giornali nell’ultima settimana non solo rilanciano quello «stantio odore di massoneria» evocato tempo fa dall’ex direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio de Bortoli. Ma evidenziano come antiche debolezze del nostro sistema politico, economico e istituzionale siano difficili da debellare, e che talvolta il modus operandi del governo dei rottamatori sembra in realtà perfettamente sovrapponibile - per opacità e mancanza di trasparenza - a quello delle conventicole che gestivano il potere nella prima e nella seconda Repubblica che si dice di voler liquidare.
Il caso Carrai è emblematico. Amico fraterno di Renzi, che l’ha piazzato ai tempi di Palazzo Vecchio in aziende pubbliche comunali e nella SpA che controlla l’aeroporto di Firenze, è l’unico membro del giglio magico che non ha ancora traslocato a Palazzo Chigi. Impegnato nei suoi affari e nella tessitura di relazioni, ha sempre rifiutato gli incarichi istituzionali propostigli dal premier (doveva diventare consigliere economico personale, dopo il suo diniego la poltrona è stata occupata da Marco Simoni) per avere le mani più libere. Ma adesso ha cambiato idea, e il piccolo imprenditore è in pole position per diventare nientemeno che il responsabile della sicurezza cibernetica nazionale.
L’ipotesi - raccontata per prima dal “Fatto Quotidiano” - non convince tutti. Non solo perché Carrai - che pagò per anni la casa fiorentina in cui abitava Renzi quando era sindaco - non ha alcuna competenza specifica nel settore dei crimini informatici, e la nomina dell’ennesimo fedelissimo senza adeguato curriculum (sarebbe messo alla guida di una struttura legata ai servizi segreti che opererà anche contro il terrorismo internazionale) darebbe l’ennesimo schiaffo allo storytelling della «meritocrazia costi quel che costi» e del «noi non raccomandiamo nessuno». Ma i dubbi si amplificano analizzando il profilo relazionale e professionale di Carrai, vero inno al conflitto di interessi.
Andiamo con ordine, partendo dagli affari. Il “Gianni Letta di Renzi” ha fondato a fine 2014 insieme a Leonardo Bellodi, ex braccio destro di Paolo Scaroni all’Eni e grande amico dell’attuale numero uno degli spioni dell’Aise Alberto Manenti, una società privata che si occupa proprio di sicurezza informatica, la Cys4. Una SpA che secondo i malpensanti mira ai futuri appalti che il governo potrebbe bandire dopo la creazione del “nucleo” per la sicurezza cibernetica. Nell’azionariato non ci sono solo Carrai e Bellodi, ma anche pezzi grossi come Franco Bernabè (attraverso il suo Fb Group), Jonathan Pacifici (imprenditore italo-israeliano trasferitosi anni fa a Gerusalemme, ad del “World Jewish Economic Forum”) e Mauro Tanzi, che controlla il pacchetto di maggioranza attraverso la fiorentina Aicom, specializzata proprio in sicurezza informatica. Tanzi non è un novellino: è stato per anni manager di punta di Finmeccanica, tanto da essere messo nel 2011 da Pier Francesco Guarguaglini a capo della controllata che gestiva l’immenso Real Estate del colosso degli armamenti.
La Cys4 è nata, inoltre, sotto i buoni uffici degli israeliani, che grazie soprattutto alle entrature di Bernabè e Pacifici risultano i fornitori tecnologici della Cys4. Diventasse davvero Carrai consulente di Palazzo Chigi, non basterebbe certo un trust a evitare - nel caso la società intendesse partecipare a gare statali - possibili conflitti d’interessi. Anche perché il fratello di Carrai, Stefano, è oggi consigliere sia della Cys4 sia dell’Aicom. «Più scrivete che “Marchino” non può fare il consulente, più Matteo si convincerà a chiamarlo», replicano dall’inner circle del premier, disinteressato anche ai rapporti obliqui che l’imprenditore ha coltivato negli ultimi due anni: amico della pr Francesca Chaouqui e del marito informatico Corrado Lannino, all’“Espresso” risulta che Carrai ha legami stretti anche con Vittorio Farina, stampatore e vecchio socio in affari di Luigi Bisignani, con il generale Michele Adinolfi (al matrimonio di Carrai Adinolfi e Farina sedevano allo stesso tavolo) e con il capo del Dis, Giampiero Massolo. Carrai di recente frequenta divise e barbe finte anche insieme a Alessandro Ruben, compagno di Mara Carfagna, ex consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, presidente della sezione italiana dell’Anti-Defamation League, e nel 2003 regista dello storico viaggio di Gianfranco Fini in Israele.
La scalata di “Marchino” in settori sensibili dell’intelligence viene mal vista non solo da chi nei servizi sottolinea che le influenze israeliane (Stato che non è membro della Nato) su Carrai e soci sono troppo evidenti, ma anche da pezzi da novanta come i sottosegretari Luca Lotti e Marco Minniti, già impegnati tra loro in una battaglia per l’egemonia (politica) sui dossier più delicati delle nostre agenzie di sicurezza: anche se Lotti con Carrai e la Boschi è parte del triangolo magico, spera che a Palazzo Chigi non arrivi un terzo contendente.
Contro la promozione di Carrai s’è infine schierata anche una parte del corpo diplomatico, che conosce bene i retroscena della nomina del nuovo ambasciatore di Israele a Roma, Fiamma Nirenstein. Com’è noto lo scorso agosto Benjamin Netanyahu annunciò a sorpresa la designazione dell’ex parlamentare del Pdl trasferitasi nella colonia di Gilo a Gerusalemme, orgogliosamente sionista e da sempre contraria al riconoscimento dello stato della Palestina.
Una personalità forte ma divisoria, tanto che secondo il quotidiano “Haaretz” alcuni rappresentanti della comunità ebraica romana hanno chiesto al presidente israeliano di fare un passo indietro ritirando la nomina. È difficile, però, che Netanyahu torni sui suoi passi: non solo perché stima l’ex berlusconiana, ma sa che la Nirenstein ha avuto il beneplacito del miglior amico del premier italiano, e ha spinto in prima persona per la giornalista. Carrai è infatti intimo sia di Fiamma sia del suo primogenito, un trentenne classe 1982 che lavora per i servizi segreti italiani e che, insieme alla mamma, ha partecipato al matrimonio di Marco. «È solo un caso, il governo israeliano ha deciso da solo il suo ambasciatore», spiegano i renziani. Sarà: ma è un fatto che la designazione della Nirenstein è stata comunicata pochi giorni dopo l’incontro tra Renzi e “Bibi” a Tel Aviv del luglio del 2015 (era presente anche Carrai), e che un mese dopo la nomina fu proprio l’imprenditore ad accogliere Netanyahu che sbarcava all’aeroporto di Firenze.
Se il caso Carrai preoccupa alcuni ambienti, il governo resta in imbarazzo anche a causa della vicenda di Banca Etruria. Che ha preso nell’ultima settimana una nuova, sorprendente piega: quella delle presunte infiltrazioni massoniche nella gestione dell’istituto. Secondo alcune fonti di “Libero” finora non smentite il padre del ministro Maria Elena Boschi, Pierluigi, quando era vicepresidente della banca avrebbe incontrato più volte sia Carboni, faccendiere condannato in via definitiva per il crac del Banco Ambrosiano e imputato nel processo sulla presunta associazione segreta P3, sia Valeriano Mureddu, un massone vicino di casa dei Renzi a Rignano sull’Arno su cui indaga la procura di Perugia che ipotizza per lui la violazione della legge Anselmi. Tema dei meeting tra la strana coppia e Boschi: l’individuazione di un nuovo direttore generale dell’istituto. Per scegliere la persona giusta Carboni chiese a sua volta consiglio a Gianmario Ferramonti, ex leghista uscito indenne dal processo “Phoney Money” e vecchio amico di Licio Gelli e Francesco Pazienza. Alla fine il nome raccomandato dal gruppetto, il manager Franco Arpe, non passò le forche caudine di Bankitalia, che informalmente scartò l’ipotesi.
Se i contorni della vicenda sono ancora nebulosi e l’inchiesta è allo stadio embrionale, resta da capire come mai i vertici di Etruria si confidassero con vecchi poteri opachi che sembravano scomparsi. «Vecchie consorterie che stiamo combattendo tentano di delegittimarci e buttarci fango addosso sfruttando uno scivolone del padre di Maria Elena, ma sono blitz patetici», chiosa uno dei parlamentari vicinissimi a Renzi, che parla senza mezzi termini di «ricatti» a cui non bisogna cedere.
«Se Boschi ha fatto errori ne pagherà lui, e solo lui, le conseguenze». Saranno invece i renziani a pagarle, spiegano i ribelli della minoranza dem, se continueranno a negare errori e a coltivare relazioni pericolose. In primis quella con Denis Verdini, imputato nell’inchiesta della presunta loggia P3, grande amico di Bisignani («ho stima per molti massoni e per la storia della massoneria, ma non sono massone: se lo fossi lo direi»), intenzionato a formare un’alleanza di ferro con il Pd in modo da creare un Partito della Nazione di centro. «L’attacco ai Boschi? A me sembra molto strumentale: questa Italia deve cambiare, perché c’è sempre il partito del preconcetto, del complotto». Se lo dice lui, siamo tranquilli.