Giuliano Pisapia o Pietro Grasso? La sfida a sinistra del Pd è tra loro due
L'avvocato ex sindaco di Milano e il presidente del Senato già giudice antimafia sono le due figure più rilevanti dell'area esterna al Partito Democratico di Renzi. Ecco cosa sta succedendo
di Susanna Turco
10 ottobre 2017
A sinistra del Pd: stiamo già al “sei come Renzi”, allo scontro aperto con D’Alema, alle precipitose dimissioni dal governo del bersaniano Bubbico - e mancano cinque mesi alle elezioni. Insomma auguri. Se va a finire male, potrebbe concludersi proprio come sembra ora, negli sgambetti che ormai apertamente si fanno i bersaniani di Mdp ?e i militanti di Campo progressista.
Con l’ex sindaco Giuliano Pisapia di qua e l’ex capo dell’Antimafia Pietro Grasso di là. Volti apicali di un nuovo assetto, per paradosso più nuovi loro che l’assetto, ?a occhio. Una classica ma in parte anche inedita contrapposizione - l’avvocato milanese, ipergarantista di sinistra, e il magistrato palermitano meno assertivo tra i giudici antimafia - tra due che peraltro per stile mai andrebbero a testa bassa uno contro l’altro. Nel caso, va detto, si troverebbero quasi i destini scambiati: Pisapia, ideatore di Campo progressista, già deputato indipendente con Fausto Bertinotti, rischia di finire a capeggiare ?una specie di rifondazione di sinistra democristiana, del tipo “giuristi per Tabacci” (giusto gli ex diccì Bruno Tabacci e Angelino Sanza sono due dei suoi ascoltati consiglieri); mentre Grasso, amico ?e collaboratore di Falcone, dopo 43 anni ?da magistrato e un esordio in politica da terzista e moderato, rischia di andare a ricoprire, in nome dell’Mdp di Bersani e di D’Alema, un ruolo da “ragazzo di sinistra” non poi dissimile da quello che già fu ?del suo indigesto doppio, l’ex pm Antonio Ingroia col quale è in sincera disarmonia dai tempi della Procura ?di Palermo.
Arrivano i primi segnali di mal di testa? Eccolo, è l’effetto film horror. Un nuovo capitolo del grande risiko, ?il “cercasi leader per la sinistra, da eventualmente massacrare”, con litigi ?a ogni passo, Massimo D’Alema nell’invariabile ruolo di Mangiafuoco, Pisapia personificante per mesi una specie di Romano Prodi primissima maniera, gli inevitabili ondeggiamenti, i fantasmi ulivisti, persino il ritorno a Piazza Santi Apostoli, e da ultimo la new entry del presidente del Senato che ha riequilibrato un po’ la prospettiva. Chiarendo che si era pronti per lo scontro finale.
La discesa in campo implicita e apparentemente passiva dell’ex pm che, una vita fa, fu giudice a latere del primo maxiprocesso a Cosa Nostra, il sapiente uso mediatico della sua ospitata alla festa napoletana di Mdp di fine settembre, è stato lo spauracchio, la palla lanciata tra i piedi dell’ex sindaco ?di Milano - troppo “ineffabile”, poco manovrabile, poco decifrabile, troppo convinto che D’Alema debba restar ?fuori dal Parlamento. E allora ecco, un presidente del Senato mai restio a parlar di politica, come a dire che c’è un possibile competitor per guidare l’area o le aree, una alternativa con più aria a sinistra.
Portato quasi a braccio dalla sua bàlia politica, ?Pier Luigi Bersani - che l’altro giorno era in prima fila a dire sì sì al “ragazzo di sinistra” che nel 2013 ha fatto candidare ed elevato a ruolo di presidente del Senato (è forse ?il suo più concreto successo) - Grasso ?s’è subito trovato riempito di lodi pure da D’Alema, alla prima occasione e nel miglior modo che l’ex premier conosce, vale a dire con l’attribuzione di una radice comunista. «Se Grasso volesse fare politica con noi sarebbe un grande onore. È una grande personalità e da giovane era comunista», ha detto a Bianca Berlinguer.
Frammenti di una costruzione epica, ?con allegato rumore di chiodi. Anche se, per la verità, non si hanno notizie circa una infanzia particolarmente comunista: non di Grasso, nemmeno di Pisapia. E il dettaglio è curioso: come a significare che quel che resta del Pci, i D’Alema i Bersani, ma anche i Nichi Vendola, esauriti i migliori cavalli nel corso della seconda Repubblica, adesso che si son messi in proprio lasciando il Pd devono appaltare all’esterno la propria immagine. A Grasso, che un paio di volte ha raccontato di aver assistito adolescente negli anni Sessanta a un comizio di Pietro Nenni a Palermo ?(ce l’aveva portato il padre) e di essere rimasto «profondamente suggestionato da quell’incontro che ha lasciato una traccia nella mia memoria e formazione, diciamo di spirito socialista, come idee». Quanto a Giuliano Pisapia, ascendenza familiare “repubblicana, liberale vera”, di sinistra dai 18 anni, tendenza extraparlamentare, da deputato indipendente di Rifondazione ?nei primi Duemila auspicava una mescola ?di «sinistra senza comunismo».
Molto prima di diventare sindaco di Milano avendo battuto il candidato ufficiale del Pd Stefano Boeri, Pisapia proprio sulla svolta del Millennio aveva fatto un paio di scelte destinate ad avere un senso anche adesso: si era rifiutato di votare con Bertinotti la sfiducia al primo governo Prodi (di lì un rapporto di stima col Professore che al giro successivo, nel 2006, l’avrebbe voluto Guardasigilli); e, ancora più attuale, sotto il governo D’Alema aveva votato contro i bombardamenti in Kosovo.
Insomma se oggi lo si vede tentennante ?e circondato di mah, la storia dice come Pisapia sia meno malleabile di quel che sembra, non certo uno che si fa dire chi debba abbracciare e come, da Maria Elena Boschi in poi. Lontanissimo da un certo tipo di sinistra che, paradossalmente, perché in fondo non ci ha messo piede, Grasso sembra più volentieri disposto ?a incarnare. Anche lui, c’è da dire, da presidente del Senato ha imparato a destreggiarsi, ad agire in proprio nelle scelte della sua presidenza. O almeno: l’ha fatto dopo una prima fase di terrificanti gaffe da neofita, tipo parlare di Mattarella mentre la sua elezione a capo dello Stato era in corso, o minacciare in Aula di chiamare la polizia (il suo portavoce, straordinario: «Si riferiva agli assistenti d’aula che il Regolamento definisce Polizia del Senato»).
C’è da dire in effetti che negli anni renziani, Grasso non ha goduto di particolare allure, che pure di scomodità s’è fatto carico. Attirandosi gli strali dell’allora premier Renzi, ad esempio non rinunciò a criticare pubblicamente la struttura del Senato non elettivo, chiarendo che in combinato con l’Italicum metteva «a rischio la democrazia» - un argomento che poi ha fatto strada. Così come, mai amato dal Pd ?di Palazzo Madama, si fece dare del “superficiale” dal capogruppo Luigi Zanda per aver concesso all’opposizione voti segreti sulla riforma. Quel giorno i “vergogna” non si contarono, eppure oggi ?la sua asserita non imparzialità, i ruvidi botta e risposta col renzismo al potere, anche nei giorni roventi della discussione a Palazzo Madama sulle unioni civili, contribuisce oggi perfettamente alla costruzione dell’epica da “ragazzo di sinistra”; certamente attratto dalla politica (nemmeno le regionali siciliane gli sarebbero dispiaciute, racconta qualcuno), e comunque bravissimo - più ?di Pisapia, che ha un’altra struttura antropologica - a cogliere i treni quando passano. Perché «la vita è fatta di coincidenze», come ha detto più di una volta. Aiuta gli ottimisti, si può aggiungere. E lui, che nei progetti bersaniani doveva finire Guardasigilli per attuare la «rivoluzione democratica della giustizia», dopo la presidenza del Senato che ha salutato letteralmente come «un passaggio» sembra pronto ora alla prossima coincidenza. Senza motivi per tentennare: di ritirarsi dalla politica, lui, non ha mai parlato.