Nel nome del risparmio ti cancello. Così, dopo quasi cento anni di storia, il governo è pronto a dire addio a tribunali e procure che si occupano dei minorenni. Quegli uffici, cioè, che rappresentano, a parere di autorevoli magistrati, avvocati, costituzionalisti e psicologi, un’avanguardia in Europa.
Il fronte del no alla riforma in discussione al Senato è ampio. «Tuttavia temo che, a parte per gli addetti ai lavori, i contenuti del progetto di legge stiano passando sotto silenzio»: tra chi ha scelto di schierarsi c’è Giuseppe Spadaro, voce autorevole in materia. Da tre anni è il presidente del tribunale per i minorenni di Bologna. In via del Pratello, dove ha sede il suo ufficio, è arrivato quando ne aveva 49.
È stato il più giovane a occupare il vertice di quell’ufficio. Prima di allora si è fatto le ossa in Calabria. Era il capo della sezione penale di Lamezia Terme. Qui ha giudicato decine di mafiosi calabresi. Ricorda ancora le udienze tese, gli sguardi feroci dei padrini, gli scontri durissimi con gli avvocati dei boss, le condanne esemplari che hanno annientato alcune cosche locali. Con un filo di voce ripercorre anche i giorni in cui ha saputo del piano di morte ordito nei suoi confronti. Era tutto pronto, finti poliziotti lo avrebbero dovuto fermare sulla strada che da Catanzaro porta a Lamezia.
A salvargli la vita una telefonata casuale della moglie. Hanno minacciato di morte anche i suoi figli e, forse per questo, Spadaro adesso si dedica ai ragazzi che sbagliano. L’istituzione che dirige del resto fa proprio questo: aiuta i giovani a rialzarsi da una caduta. Oppure in altri casi tenta di strapparli dalla violenza dei “grandi”. Per questo ritiene che non si possa rinunciare alla specificità dei tribunali e delle procure per minori: «Sono l’istituzione giudiziaria più longeva. E la questione della propria autonomia è connaturata all’identità di questo Tribunale, data dalla sua specializzazione e dalla sua composizione mista, fatta da togati e giudici onorari», osserva il magistrato. In pratica, se oggi il modello italiano è apprezzato fuori dai confini nazionali lo si deve soprattutto alla netta separazione che esiste rispetto al circuito penale per gli adulti.
«Il sistema italiano è considerato, a buon diritto, uno dei più avanzati al mondo»: queste non sono parole di Spadaro, ma del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri nel dossier che porta il titolo “Giustizia minorile in Italia”. Eppure, a dispetto degli annunci e delle celebrazioni di rito, dal palazzo di via Arenula è arrivata la proposta di cambiare radicalmente direzione, quantomeno nella forma: soppressione dei tribunali e delle procure per i minorenni.
Meglio istituire, sostengono i relatori della proposta di legge, sezioni specializzate «per la persona, la famiglia e i minori» all’interno dei tribunali ordinari e presso le corti di appello. I rottamatori del vecchio modello si difendono facendo notare che «l’attività delle sezioni specializzate sarà esercitata in ambienti e locali separati, adeguati ai minori di età e alle esigenze che derivano dalla natura dei procedimenti». È vero, sulla carta c’è scritto questo. Ma per chi è un po’ pratico del variegato mondo dei palazzi di giustizia sa che realizzare tale divisione sarà molto complicato.
Criminali incalliti da interrogare, imputati a piede libero che frequentano le aule, il frenetico via vai di poliziotti e avvocati che di certo non contribuiscono a creare un clima rilassato e sereno. Un contesto, insomma, per nulla adatto a ragazzini il cui equilibrio è turbato da un gorgo di fragilit à, che li rende insicuri, alla perenne ricerca di se stessi e di un’identità. Una miscela che spesso fa da miccia al disagio e alla devianza. La critica che pone Spadaro è costruttiva: «Sono sicuro che l’alto senso delle istituzioni che contraddistingue l’attuale ministro della Giustizia e la sua sensibilità verso queste tematiche lo spingeranno a valutare l’opportunità di ponderare meglio una riforma epocale, stralciando, per esempio, quella del processo civile da quella relativa ai tribunali per i minorenni. O addirittura valorizzare questi ultimi, per esempio potenziandoli, attribuendo a questi uffici ulteriori competenze come quelle dei giudici tutelari e in materia di famiglia».
Il magistrato calabrese non è contro a prescindere. Sostiene, infatti, che è necessaria una riforma. «Immaginando, per esempio, un unico giudice che si occupi di tutte le vicende familiari, ponendo al centro non i diritti degli adulti ma quelli dei figli». È un messaggio di dialogo, quello di Spadaro.
Con una proposta chiara al guardasigilli e al Parlamento: «Mi chiedo cosa impedisce di creare quel “tribunale della famiglia” che, specie l’area politica progressista di questo Paese ha in passato auspicato, accorpando tutte le relative questioni ai giudici minorili. Se io ad esempio dovessi affrontare una separazione coniugale, preferirei che di una vicenda così dolorosa, specie in presenza di figli, si occupasse un giudice altamente specializzato». Con pochi magistrati in più, i tribunali per i minorenni potrebbero farsi carico di tutte quelle questioni che riguardano il nucleo familiare, con tutti i conflitti che lo caratterizzano e lo rendono spesso il primo indiziato del disagio giovanile. «La creazione di un tribunale unico della persona, dei minori e delle relazioni familiari viene invocata dai magistrati per primi ma anche dai professori universitari e dall’avvocatura specializzata. Rappresenta l’unica soluzione efficace per ridurre a zero la frammentarietà e la dispersione di competenze. In queste materie il contributo scientifico di esperti in materia di età evolutiva è e sarà comunque indispensabile: solo che attualmente viene fornito dai nostri magistrati onorari per miseri gettoni di presenza, successivamente potrebbe andare sotto parcelle profumate di consulenti tecnici di parte e di ufficio».
È tra le mura domestiche che i figli apprendono il primo approccio col mondo esterno. E con i consigli e i suggerimenti dei genitori iniziano a interpretare ciò che accade nel mondo reale, che muta a una velocità supersonica. La cronaca recente, del resto, evidenzia i sintomi di un male sociale trascurato. Genitori che faticano a trovare i canali giusti per comunicare con i figli. Il caso del quindicenne di Lavagna, in Liguria, suicidatosi dopo un controllo antidroga sollecitato dalla madre, disperata nel suo tentativo di salvare il figlio dallo “sballo”. Oppure il delitto di Pontelagorino, un piano folle ordito da due adolescenti: il figlio esausto delle strigliate di mamma e papà, chiede all’amico del cuore, anche lui classe ’99, di ucciderli in cambio di mille euro. Fatti che richiedono una riflessione seria, depurata, cioè, delle letture semplicistiche e a effetto. Spesso, urlate, nell’immediatezza da esperti improvvisati che trasformano persino l’educazione in un’emergenza, al pari di una calamità naturale. «Spesso i ragazzi, guidati in un percorso di consapevolezza, maturano e riescono a farsi carico dei propri errori, favoriti in questo proprio dal nostro sistema di giustizia. Credo non si possa rinunciare al processo che non è celebrato contro ma per e con il giovane, che deve essere messo nelle condizioni di comprendere in cosa e perché ha sbagliato e di riflettere su quali conseguenze comporta il reato commesso sia per lui sia per la vittima».
Innescare la riflessione sugli errori commessi è, a parere di tutti i pedagogisti, il punto di partenza di un processo di crescita dell’adolescente. Nella vita reale ogni gesto e ogni azione hanno delle conseguenze. La dimensione del “game”, in cui tutto è concesso e non esistono limiti, imprigiona migliaia di giovanissimi, convinti che, in fondo, dopo il game over la partita ricominci senza alcuna ripercussione. Pensiamo al bullismo spinto fino trasformarsi in omicidio. Oppure alle baby gang di Napoli che usano le pistole vere come in un gioco di guerra.
«A volte i ragazzi non hanno nemmeno capito che stavano commettendo un reato: fotografare, filmare e poi condividere sui social network è per loro un gesto quotidiano e banale, tanto che non riflettono su quello che stanno diffondendo». In questo percorso di accompagnamento verso l’assunzione di responsabilità, i giudici e lo staff di educatori e psicologi hanno un ruolo fondamentale. «La nostra composizione multidisciplinare garantisce una valutazione che va oltre la fredda lettura del codice».
Ma altrettanto indispensabile è salvaguardare i palazzi dei “piccoli” dalla promiscuità con gli adulti indagati o imputati a passeggio per gli uffici giudiziari. Un rischio che Spadaro vorrebbe evitare. Il magistrato calabrese ricorda anche un una riforma simile naufragata con una pregiudiziale di incostituzionalità in Parlamento: nel 2003 l’allora ministro leghista alla Giustizia, Roberto Castelli, propose la creazione di sezioni specializzate per la famiglia e i minori. Sull’attuale, invece, si è già schierato all’unanimità il Consiglio superiore della magistratura. Da palazzo dei Marescialli hanno messo in guardia dalle possibili disfunzioni che si determinerebbero con l’approvazione della riforma. «Non è possibile riformare frettolosamente un settore fondamentale che ha quasi un secolo di vita», aggiunge Spadaro. Peraltro in un momento storico in cui l’Europa - con la recente approvazione della Direttiva sulle garanzie per i minorenni - ribadisce la necessità di potenziare la specializzazione rispetto alla giustizia degli adulti.
Nella Relazione di sintesi per l’anno 2016 il ministro Orlando scriveva: «Recenti rilevazioni statistiche indicano l’Italia come il Paese con il più basso tasso di delinquenza giovanile rispetto agli altri paesi dell’Ue e agli Stati Uniti. Tale effetto è certamente da ricondursi all’efficacia sia dei programmi di prevenzione adottati, che dalle misure trattamentali alternative alla detenzione».
E allora, si chiede Spadaro, sulla base di quale studio o analisi è stata fatta la riforma? Perché cambiare se il meccanismo rappresenta un’eccellenza nel panorama comunitario? «Ogni anno alle procure che si occupano di adolescenti pervengono decine di migliaia di segnalazioni da parte dei servizi sociali, forze dell’ordine, ospedali, scuole, associazioni di volontariato e da semplici cittadini nelle quali si denunciano gravi situazioni di disagio dei giovani. Oltre ai tagli molto pesanti subiti dai servizi sociali in questi anni per le risorse da destinare alla protezione di chi ancora non è maggiorenne, l’indebolimento del ruolo e della centralità dell’autorità giudiziaria che di loro si occupa vedrà ulteriormente pregiudicato il sistema di interventi». In effetti è difficile immaginare che un procuratore capo inondato dalle emergenze quotidiane (omicidi, furti, risse, corruzioni) riesca anche a dare peso alle spie quotidiane accese dai servizi sociali. Con il rischio che tali richieste di aiuto cadano nel vuoto. L’enorme flusso di lavoro che paralizza spesso tribunali e procure, del resto, è un’ anomalia tutta italiana. Sintomo di una magistratura costretta a supplire ai vuoti lasciati dalla politica. «Manca il coraggio di operare scelte legislative. Pensiamo alla step child adoption: hanno rimesso ai giudici decisioni che sarebbe stato meglio indirizzare con un’ apposita norma», aggiunge Spadaro.
Tribunali, dunque, dove la priorità delle toghe è ascoltare e comprendere la sofferenza. Dove ai ragazzi che hanno commesso un crimine viene offerta una seconda possibilità. «Perché esiste una Legge capace di “piegarsi” ai bisogni dei più indifesi, di offrire strumenti non semplicemente punitivi di fronte al disagio e alla devianza: ecco, credo che sia questo l’unicum che rende indispensabile l’esistenza di un tale presidio giudiziario».
Strutture, spesso anonime, lontane dai grandi palazzi dove si celebrano maxi processi o indagini su grandi crimini. E questa distanza fisica ha portato a grandi successi: a Reggio Calabria un giudice, Roberto Di Bella, ha conquistato la fiducia delle donne di ’ndrangheta e di alcuni boss al 41 bis, che, ora, lo supplicano di allontanare i figli dal territorio che hanno governato con il fuoco e con i soldi.
Sarebbe mai accaduto se l’ufficio di Di Bella fosse stato all’interno degli edifici dove sfilano delinquenti di ogni risma? Queste mamme avrebbero mai varcato quella porta con il rischio di farsi riconoscere da criminali pronti a etichettarle come “infami”. «Il giovane dev’essere messo nelle condizioni di comprendere in cosa e perché ha sbagliato», conclude Spadaro. «Solo così restituiremo alla società persone migliori».