Perché grazie a Grillo, Berlusconi e Renzi finiremo per votare a ripetizione
Il nuovo super-partito GBR vuole andare subito alle urne. Ma così si rischia di eleggere un Parlamento che duri solo alcuni mesi. Il risultato più probabile è una crisi di governo permanente. Ecco perché
di Marco Damilano
5 giugno 2017
Illustrazione di Giuseppe Fadda«Queste sono giornate di lutto, segnano la fine di una lunga stagione cominciata nel 1989 dopo la caduta del muro di Berlino...». Se si chiede a Mario Segni, l’uomo dei referendum di un quarto di secolo fa che trascinarono l’Italia nel sistema maggioritario, o a Arturo Parisi, l’inventore dell’Ulivo e delle primarie per scegliere il leader, cosa pensano della nuova legge elettorale si incassa questa reazione.
La fine di un tempo lungo con un blitz parlamentare che nelle intenzioni avrà invece cadenze brevissime: appena un mese, dal 5 giugno al 7 luglio, per approvare il sistema che si ispira al modello tedesco, ma che tedesco è fino a un certo punto. In realtà è italiano, italianissimo, e produrrà gli effetti tipici del Parlamento di Roma piuttosto che del Bundestag.
A partire dalle elezioni anticipate immediate, con scioglimento delle Camere a luglio, raccolta di firme e presentazione delle candidature ad agosto, par condicio televisiva che scatta intorno a ferragosto, talk show presi in contropiede mentre il grosso dell’audience televisiva (e dell’elettorato) è ancora in vacanza, voto a settembre (il 24, quando si vota anche in Germania) o al più tardi a ottobre.
Nella Prima Repubblica si facevano i governi balneari, per far passare l’estate in attesa di equilibri politici più maturi, nella rinata Repubblica del proporzionale si progettano le campagne elettorali sul bagnasciuga. E poi, già pronto il prossimo giro: perché il fronte favorevole al voto subito è consapevole che quello del 2017 potrebbe essere soltanto il primo tempo della partita, non risolutivo, il secondo tempo arriverà soltanto nel 2018 con nuove elezioni anticipate, quelle dove si fa sul serio. L’improvvisazione con cui si stanno portando gli italiani a votare tradisce questo disegno, coltivato dal Movimento 5 Stelle, da Silvio Berlusconi e da Matteo Renzi, l’incredibile alleanza delle urne istantanee che sta dando vita a un nuovo acronimo della politica italiana, il più sorprendente: il Gbr.
Negli anni Settanta-Ottanta Gbr era una piccola emittente romana, diventata famosa per lo scoop del giornalista Franco Alfano che riprese il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro prima della Rai nel 1978 e soprattutto perché a un certo punto fu regalata da Bettino Craxi alla sua amica, l’attrice Anja Pieroni. Il leader socialista faceva parte del Caf, il fronte Craxi-Andreotti-Forlani che dominò negli anni finali della prima Repubblica.
Il nuovo super-partito Gbr sta per Grillo-Berlusconi-Renzi: è il fronte dell’Accordone che si è composto per approvare rapidamente la nuova legge elettorale e tornare al voto, per poi sciogliersi in una campagna elettorale che si annuncia durissima. Non avrà vita lunga, dunque, ma il Gbr ha dominato la diciassettesima legislatura inaugurata venerdì 15 marzo 2013, con la prima seduta, con sprezzo della scaramanzia: nessun Parlamento aveva eletto prima di questo due presidenti della Repubblica, e nessuno aveva votato due leggi elettorali. La prima, l’Italicum, approvata a colpi di maggioranza, con la blindatura del voto di fiducia a Montecitorio richiesto dal governo Renzi, ha raggiunto un record: non è mai entrata in vigore, è stata cassata dalla Corte costituzionale, eppure doveva essere «la legge che l’Europa ci invidia», secondo Renzi e l’allora ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, oggi sottosegretaria.
La legge che si voterà nelle prossime settimane, al contrario, nasce senza padrini e madrine. «Non è la legge che avrei voluto», ripete infatti Renzi. È il frutto di un accordo parlamentare tra i grandi partiti: se lo sbarramento del 5 per cento come quorum per accedere alla distribuzione dei seggi parlamentari sarà rispettato, nella prossima legislatura, la numero 18, rientreranno solo loro, i tre contraenti dell’Accordone, Grillo, Berlusconi e Renzi, più la Lega di Matteo Salvini, con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni in bilico. Un assetto che prefigura un doppio campionato: per il primato dei voti, tra il Pd e M5S, e per il primato nel centro-destra, tra Forza Italia e Lega. Con il risultato, più che probabile, della paralisi e dell’impasse. Anticipo di un nuovo scioglimento e di un nuovo voto, nel 2018.
Il Paese che non votava mai si prepara così a un doppio voto, voto e ri-voto. Alla fine di una legislatura che ha cambiato più volte pelle: cominciata con il tentativo di Pier Luigi Bersani di fare un governo fondato sulla coalizione di centro-sinistra Italia bene comune (chi se lo ricorda?), proseguita con le larghe intese Pd-Pdl e con il governo di Enrico Letta che dopo pochi mesi deve fronteggiare il divorzio tra Berlusconi e Angelino Alfano, nuovo cambio di direzione con il governo di Renzi sorretto inizialmente dal Patto del Nazareno con l’ex Cavaliere condannato e dai transfughi del berlusconismo raccolti attorno a Denis Verdini, poi l’epica del referendum costituzionale (fallito) e il governo di Paolo Gentiloni che finisce in mezzo a un’altra scissione, questa volta a sinistra, tra il Pd e l’ala di Bersani.
E ora il Gbr che tira giù il sipario, con una legge elettorale che non dà nessuna risposta ai temi su cui partiti e osservatori si sono arrovellati per anni: il potere dei cittadini di scegliere deputati e senatori (nel nuovo sistema, nonostante l’apparente collegio uninominale, i candidati saranno tutti blindati dalle scelte dei partiti) e soprattutto l’esigenza di un governo stabile e durevole. Un obiettivo che appare quasi irrealizzabile, nello spazio di una campagna elettorale con il solleone. E che potrebbe portare a nuove elezioni anticipate nel giro di pochi mesi, come avvenuto in Grecia nel 2012 e in Spagna nel 2015-2016. Mentre gli esperti, i politologi, i costituzionalisti, si affannano a provare a spiegare come sia possibile scrivere una legge di Bilancio a Camere sciolte, durante la campagna elettorale o, come sarebbe nel caso di un voto il 24 settembre, con il nuovo Parlamento che è stato appena votato ma non si è ancora riunito. Un sudoku procedurale che sta già preoccupando Bruxelles, con le istituzioni europee in allarme rosso, e rallegrando gli speculatori che si preparano a un’estate felice, non come quella del 2011 dello spread alle stelle ma quasi.
La campagna elettorale è già in pieno svolgimento. E in queste settimane saranno già visibili le linee con cui i partiti intendono muoversi nella prossima legislatura.
La prima lettera del Gbr, Beppe Grillo, è in apparenza il più soddisfatto dell’accordo. Ha riportato il suo movimento al centro del gioco politico, scongelando i voti dei suoi parlamentari proprio sulla legge elettorale, un’iniziativa che anticipa il volto di M5S nel Parlamento futuro. Nella legislatura che va a terminare, la prima con i deputati e i senatori eletti dopo il trionfale Tsunami Tour di Grillo nel 2013, M5S ha detto di no a tutto o quasi, è stato il grande cartello delle opposizioni, il sindacato degli esclusi. Nella prossima vuole candidarsi a essere la forza tranquilla, lo slogan del pubblicitario Jacques Séguéla con cui il socialista François Mitterrand conquistò l’Eliseo. Rassicuranti, in grigio, quasi noiosi, i seguaci di Davide Casaleggio vanno a caccia di nomi che possano legittimarli a governare di fronte all’establishment italiano e internazionale. «C’è la ricerca dei futuri parlamentari e quella delle personalità di governo. Non vogliono cadere in una situazione come quella di Virginia Raggi a Roma», spiega uno dei corteggiati. «Con un sistema proporzionale i 5 Stelle dovranno proporre un esecutivo non grillino in grado di prendere i voti anche di esponenti di altri partiti. Per questo in tanti si stanno affacciando alla loro porta». Difficile però che questo lavoro possa essere compiuto in poche settimane: più probabile che la squadra sia pronta per un secondo tempo elettorale, nel 2018.
La seconda lettera del Gbr, la B di Berlusconi, si gode il rientro in gioco dopo cinque anni che ne potevano segnare il tramonto definitivo, per motivi politici, anagrafici e giudiziari. E invece l’ex premier è ancora in piedi, i suoi parlamentari quasi increduli elencano i nomi di chi se n’è andato da Forza Italia: Alfano, Verdini, Raffaele Fitto, tutti a rischio di non raggiungere il 5 per cento, «il biglietto di ingresso», come lo chiama il deputato Francesco Paolo Sisto, l’uomo delle riforme di Forza Italia. Berlusconi si è messo nella posizione-chiave che nella Prima Repubblica garantiva il potere: la centralità. Per far passare la manovra con i mini-voucher bisogna parlare con Forza Italia, per nominare il nuovo direttore generale della Rai al posto di Antonio Campo Dall’Orto bisognerà consultare Silvio, così come per la scelta del nuovo giudice della Corte costituzionale, in corsa c’è Franco Coppi, avvocato di Giulio Andreotti, Berlusconi e Luca Lotti, legale di tutte le repubbliche. Televisione e giustizia restano gli interessi più rilevanti, gli affetti più cari di Berlusconi, in questa e nella prossima legislatura, in cui si sente già riammesso nel pantheon dei padri della patria.
L’ultima lettera del Gbr, la R di Renzi, è in apparenza quella che ha più da perdere dalla legge elettorale tedesca. Ma tutto va bene se si torna a votare subito. L’ex premier ha bisogno di una rivincita immediata e di tornare in tempi rapidi a Palazzo Chigi. Si prepara a una nuova campagna elettorale di occupazione dell’etere, della rete e del territorio: dal good morning sulla app Bob, in cui Renzi si presenta alle nove del mattino a leggere i giornali e a dire la sua per la gioia dei militanti, al viaggio in treno per l’Italia. «Il vantaggio del modello tedesco è il ritorno della politica», dice l’ex premier: un avvertimento ai tecnici modello Carlo Calenda e a quelle forze economiche che si stanno schierando contro il voto anticipato. In vista delle elezioni Renzi prepara un Pd-oltre il Pd, aperto a candidature esterne, con il ridisegno dei futuri gruppi parlamentari a sua immagine e somiglianza (nella legislatura attuale sono 283 i deputati del Pd e 99 senatori: in quanti rientreranno?), e la richiesta del voto utile: ovvero non votare per i gruppi alla sinistra del Pd, a partire dal Campo progressista di Giuliano Pisapia, che con il maggioritario sarebbe stato un potenziale alleato e con la proporzionale diventa il rivale numero uno. Fare il pieno di voti per poi presentarsi al tavolo delle trattative per il prossimo governo su posizioni di forza. Ma se le cose dovessero andare male, Renzi sarebbe il primo a chiedere nuove elezioni per scongiurare il rischio dell’ingovernabilità.
Non sarebbe meglio evitare l’ennesima forzatura, la road map sfiancante del leader costretto sempre ad andare in corsa, per preparare un sistema di alleanze in grado di governare per tutta la legislatura?
Intanto il ritorno del proporzionale significa chiudere con la stagione del leader che coincide con il capo del governo, le primarie, la vocazione maggioritaria. Il presidente del Consiglio sarà deciso da un accordo tra partiti, e chissà se quel nome sarà ancora Matteo Renzi. Dipende dai risultati del voto: l’esperienza dice che leggi elettorali proposte per precostituire i risultati del voto hanno poi deluso chi le aveva disegnate. Il Mattarellum nel 1993 doveva nelle intenzioni far nascere un centro-sinistra in accordo tra Achille Occhetto e Mino Martinazzoli e invece arrivò Silvio Berlusconi, in una legislatura brevissima, meno di due anni e nuove elezioni. È quello che teme il Quirinale: spetta a Sergio Mattarella chiudere l’attuale legislatura e firmare il decreto di scioglimento. Ma il partito del voto subito, il Gbr, sembra averlo dimenticato.