
Noi, nel dopoguerra, di simili profeti ne abbiamo vista una gran quantità. I leader che hanno ricostruito la democrazia, quelli che hanno scritto la Costituzione, quelli che hanno avverato il miracolo economico, e via dicendo. La nostra idea della figura politica si è sagomata così intorno a personalità strabordanti e insieme raffinatissime, capaci di portarci in dote un mondo di visioni e parole.
Quei profeti, continuiamo a chiamarli così, erano logorroici, complicati, machiavellici. Ma appunto avevano dentro di sé un’idea fin troppo ambiziosa della politica e del loro ruolo. Parlavano per ore, spaccavano il capello in quattro, sembravano portare il mondo e il suo destino dentro quelle borse gonfie di carte. Non tutti erano grandi, ci mancherebbe. Ma tutti cercavano di diventarlo o almeno di sembrarlo.
Ora, per quanto ci capiti talvolta di vestire questo o quello dei leader in campo di tutta quella imponenza cui eravamo abituati, di profeti non se ne vedono più in giro. E se ci fossero, potrebbero rivelarsi di poca utilità. Il tempo presente infatti non chiede più al politico né un sapere enciclopedico, né un’ambizione prometeica. Egli non deve immaginare il futuro, deve amministrare il presente. E deve farlo, possibilmente, senza arrecare troppo fastidio al prossimo, e semmai ravvivandone le giornate con qualche sapida trovata.
Così, archiviate le figure più monumentali di una volta, ci troviamo oggi a fare i conti con due modelli di leadership: il funzionario oppure l’agitatore.
Da un lato si può intravedere un minimalista, artista del basso profilo, all’occorrenza capace di dissimulare le proprie qualità e velleità sotto il manto di un abile grigiore. Egli non deve affatto essere un mediocre, tutt’altro. Ma non deve ingombrare la scena con troppe pretese o troppe ambizioni. La modestia è il suo corredo - quale che sia il pensiero profondo di sé che egli abilmente dissimula.
Al lato opposto si erge il funambolo, irrequieto e demagogico. Capace di animare la scena con un lampo di furore, sorprendente e inatteso. Non è affatto detto che egli sia un uomo superficiale, puramente spettacolare, un guitto come si usa dire. Ma all’occorrenza egli deve essere capace di propalare fake news, e magari sparare balle spaziali per il puro gusto della provocazione.
Ora, ognuno può mettere i nomi che vuole dietro queste due maschere. L’esperienza di questi ultimi tempi ce ne suggerisce una discreta quantità. Ma il punto non è di personalizzare la questione. È di capire che la politica in questo secolo si è lasciata alle spalle quell’apice di ambizione che la faceva sentire capace di plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza. Cambiando così una volta per tutte lo spartito dei suoi orchestrali.
Tutto avviene ora dentro confini assai più angusti. Dove la politica non coltiva più la grandiosità dei suoi progetti, né la solennità delle sue maniere. Al loro posto ci si aspetta, appunto, l’avvedutezza di un contabile che metta ordine nelle nostre cifre. Oppure il guizzo di un novelliere che ci intrattenga con fantasia.
Se poi questo sia stato un progresso oppure no, ognuno può dire la sua.