
Adesso che è sottosegretario all’Editoria, essendo salito di grado - ma soprattutto per la sua attività di censore per procura, di sottopancia del Mise guidato da Di Maio - ha conquistato il diritto all’ultimo dei soprannomi coniati da Massimo Bordin: gerarca minore. Insomma se da un lato non si può certo dire che la vita sia stata avara con Vito Crimi, bisogna riconoscere che il sottosegretario, coi soprannomi, non è stato fortunato. Capita.
Ingrati, c’è da dire, sono sempre stati i compiti che a Crimi sono stati affidati nel tempo dalla Casaleggio associati, e forse anche dal destino, quasi per contrappasso per quell’illusoria apparenza bonaria. Ingrati, quasi insostenibili. Il più recente: quello di far passare i tagli che sono destinati a uccidere una voce di tutti come Radio Radicale e, più in là, a soffocare pesci piccoli della carta stampata, come se si trattasse di una battaglia di libertà, o addirittura un trionfo della democrazia. Difficilissimo, eppure Crimi ci si impegna. Per la radio fondata da Pannella usa l’argomento strepitoso che «bisogna mettere a gara» la convenzione per cui è pagata: la stessa gara che dai microfoni della radio si richiede da sempre, come si può verificare consultandone gli archivi. Per quel che riguarda i giornali, Crimi estrae un argomento ancora più delizioso: ad accedere ai finanziamenti sono «150/200 testate su 18.611 registrate», e quindi in pratica il meccanismo non è equo. Meglio ad esempio distribuire i soldi ai potenziali lettori e/o alle edicole, come qua e là il sottosegretario ha già cominciato a spiegare. Oltretutto è più gente, no?
Del resto, Crimi è stato abituato alle cose difficili, fin dall’inizio. Sin dal primissimo incarico: quello di tenere le briglie corte per governare i debuttanti assoluti in Parlamento, nel lontano 2013, al Senato. Un compito da far tremare le vene, anche a ripensarci col senno del poi. In quei mesi, in effetti, Crimi fu in prima linea, ebbe un grado di visibilità che nemmeno adesso, da «gerarca minore», riesce a replicare. L’aria da orsacchiotto, congiunta con la mitezza appresa negli anni tra gli scout e l’oratorio, quando il futuro senatore frequentava a Palermo la parrocchia carmelitana di San Sergio I Papa ed era leader del movimento giovanile per il Nip (Nuova immagine di parrocchia), nonché il passato di sinistra (votava Pds e Prc, era stato attivista di libertà e giustizia) sembrò alla sinistra di Bersani garanzia di affidabilità per una qualche intesa da realizzarsi, prima o poi.
Era, anche quella, una illusione a breve gittata che si esaurì, in sostanza, nel tempo dello streaming. Tra una intervista a Oggi («Ho ancora poca conoscenza dei regolamenti parlamentari») e le richieste di espulsione (ricordiamolo: la prima fu quella di Marino Mastrangeli, colpevole di essere andato per la seconda volta da Barbara D’Urso, un orrore per i grillini dell’epoca), Crimi mise nero su bianco, perfettamente, quanto avesse introiettato i dettami del Movimento nell’intervista al Corriere della Sera del maggio 2013 in cui chiarì: «I parlamentari a Cinque stelle non devono occuparsi di strategie politiche, di alleanze. Se lo fanno, non hanno capito niente. Tu, parlamentare, devi dire: sei d’accordo sulla mozione Ogm?».
Mero esecutore, il parlamentare: perché a pensare ci pensa la piazza, diciamo. E a tradurre i pensieri in linee politiche la piattaforma Rousseau. Crimi non ha mai tradito quel mandato, mai, nemmeno una volta. Quando bisognava essere anti-Napolitano, fu capace di dire che alle consultazioni al Quirinale Grillo era stato «in grado di tenere sveglio» l’allora presidente della Repubblica. Quando si trattò di mostrare il petto all’antiberlusconismo - ottobre 2013, piena epoca del voto sulla decadenza - si esibì in un post contro il Cavaliere, ispirato al manifesto col quale gli azzurri lo sostenevano con un “Non mollare”.
Scrisse Crimi: «Vista l’età, il progressivo prolasso delle pareti intestinali, e l’ormai molto probabile ipertrofia prostatica, il cartello di cui sopra con “Non mollare” non è che intende “Non rilasciare peti e controlla l’incontinenza”?». Quelle parole gli costarono una indagine interna del Senato, più che altro perché erano state diffuse in piena camera di consiglio della Giunta chiamata a decidere sul destino del signore di Arcore: Crimi ne faceva parte e c’era il vincolo della segretezza.
A nulla, come si vede, Crimi si è dunque sottratto, alla faccia della primissima imitazione che gli dedicò Maurizio Crozza, quella in cui diceva: «L’Italia è nelle mani di Crimi ma la cosa più eccitante che ha fatto finora è stata ritirare le federe in tintoria». Altro che federe. L’ex cancelliere del Tribunale di Brescia, secondo di tre figli, genitori dipendenti Upim, una laurea mancata in matematica, approdato in lista grazie a 381 voti alle parlamentarie, ben il 3 per cento dei voti presi nel 2010 come candidato alla presidenza in Lombardia, viveva come in un sogno di montagne russe.
Nel 2014, il futuro sottosegretario all’Editoria provò ad esempio l’ebbrezza di difendere il video rilanciato da un post di Grillo, quello che recitava: «Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?». I tre quarti del Movimento volevano sotterrarsi, volarono le denunce, ma Crimi noncurante riuscì a definire quel video «ironico, satirico, senza alcuna volgarità ma simpatico anche». Nel 2017, mentre al Parlamento europeo il Movimento tornava in ginocchio sui ceci all’alleanza con Farage dopo il capitombolo del fallito accordo per passare al gruppo dell’Alde, a difendere l’indifendibile versione ufficiale, oltre a Grillo, c’era solo lui: Vito. Tanta fedeltà, è da intendersi, era stata già premiata: il senatore era infatti divenuto nel frattempo uno dei tre membri del Comitato di garanzia che decideva sulle espulsioni (l’unico nominato dai vertici del Movimento, a riprova di quanto la ditta si sia sempre fidata di lui). E già scommetteva apertamente su Di Maio candidato premier.
Dopo aver confermato l’esistenza delle liste di giornalisti buoni e cattivi («ma sono solo suggerimenti, normali meccanismi della comunicazione»), dopo aver detto che «i giornalisti e le tv li rifiuto perché mi stanno veramente sul cazzo» e poi precisato «tra voi ci sono tanti professionisti seri e preparati» (l’endiadi «serio e preparato» è quella che usa ogni volta che è costretto dall’ipocrisia dell’etichetta), Crimi ha pienamente spalancato la sua nuova era di delegato all’editoria in un giorno preciso: il 21 ottobre 2018. Quando, dal palco della festa Cinque stelle del Circo Massimo, esibendo sette slide, ha annunciato «con grande orgoglio come aboliremo il finanziamento pubblico ai giornali», realizzando «quel che diciamo da dieci anni», dai tempi del Vaffa day.
In realtà, appunto, in questi dieci anni qualcosa è cambiato, il sistema di contributi diretti all’editoria è stato prima ridotto nel 2008, poi sostanzialmente abolito già nel 2014. Come ovviamene Crimi sa. Così, dal palco del Circo Massimo, ha fatto riferimento in realtà ai contributi residui per le cooperative giornalistiche, ad enti senza fini di lucro, periodici per le minoranze linguistiche, imprese che editano periodici diffusi all’estero, insomma pesci piccoli che in tutto costano 60 milioni di euro; soldi ai quali, anche per arrivare alla cifra tonda dei 100 milioni di risparmi, ha dovuto aggiungere i 32 milioni di agevolazioni sulle tariffe telefoniche che riguardano tutti i giornali.
Ma questi sono dettagli, così come è un dettaglio che il sistema dei finanziamenti pubblici ai giornali sia ormai alle spalle: l’importante è il titolo. E il titolo, sbandierato da Crimi da quel giorno di ottobre, è che i Cinque stelle si battono contro il sistema «malato» dell’informazione. Del resto, l’aveva detto lui stesso: «La notizia si costruisce con i commenti di altre notizie. Ma spesso la fonte originale parte da un pregiudizio».
In questo caso, il pregiudizio è nell’esistenza di un sistema di cui sopravvivono brandelli, che saranno oggetto degli Stati generali dell’editoria appena inaugurati. Ma poiché in fondo anche questa questione è piuttosto complessa, e si sistemerà fra mesi di dibattito, più adatta a esemplificare l’attivismo grillino si sta rivelando Radio radicale. Anche a quella Crimi aveva dedicato una slide, al Circo Massimo. Ma i progetti iniziali non dovevano essere tanto duri: si parlava di rimodulazione, non di azzeramento, dei contributi. Il sottosegretario stesso, col consueto coraggio, l’aveva definita una mera «limatura». Poi è arrivato la campagna europea, i sondaggi in crollo, e insomma la necessità di far vedere che si combatte contro un qualche nemico, che si porta a casa un bottino, uno scalpo. Foss’anche, in mancanza di meglio, quello di un agnello da sacrificare, stavolta sì, in diretta streaming.