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Non è un paradosso raro che la crisi vada a vantaggio, o a minore svantaggio, di chi in crisi c’era già. È il caso della capitale dove si celebra come straordinario successo l’apertura di un centro commerciale al Laurentino o di un ipermercato in via Togliatti mentre si discute di funivie fra Eur Magliana e Villa Bonelli, di tavoli interistituzionali per il Giubileo 2025 (2 milioni di euro di dotazione per il prossimo biennio) e, da dieci anni, di nuove aree per il sempre nuovo stadio dell’As Roma. Un’opera ben più decisiva come la Metro C, quella che doveva aprire per il Giubileo del 2000, ha appena accusato l’ennesimo ritardo di inaugurazione e il rinvio al 22 ottobre 2024 in modo che nessuno si prenda altri impegni.
Una rapida occhiata al carnet di appuntamenti di Milano evidenzia un miliardo di valore per la nuova area ex Expo 2015, 2,5 miliardi di euro per il quartiere Santa Giulia, mezzo miliardo per la zona di Porta Romana destinata al villaggio delle Olimpiadi invernali del 2026, ancora un miliardo per l’area di Sesto San Giovanni ex Falck, più tutta la partita degli scali ferroviari che stanno mettendo a gara i vari masterplan. Il tutto condito da un vero e proprio assalto dei nuovi padroni del mercato immobiliare, i fondi internazionali, mentre sulla razza palazzinara romana, spina dorsale di imprenditoria e politica dal boom del dopoguerra in avanti, è sceso un sipario di fallimenti, cessioni, inchieste giudiziarie.
TRIONFALISMO MENEGHINO
Milàn l’è un gran Milàn, lo dichiara anche Ursula van der Leyden. Nel trionfalismo meneghino, per tradizione, le crepe si vedono di meno o tendono a passare inosservate. Eppure ci sono. Pochi giorni prima di Natale proprio uno dei maggiori fondi mondiali, Blackstone (167 miliardi di dollari in gestione nel real estate al primo semestre 2020) ha perfezionato la cessione dell’ex palazzo delle Poste di piazza Cordusio, il cuore del quartiere finanziario, acquisito nel 2015 per una totale ristrutturazione. Ad acquistare è stato un pool organizzato da Mediobanca per poco meno di 250 milioni, circa il doppio del prezzo di acquisto. Non male anche a contare qualche decina di milioni di lavori, ma ha tutta l’aria di una fuga dovuta al crollo delle attività commerciali in un centro urbano che si presenta desertificato.
Il virus minaccia di avere un impatto forte e irreversibile su un modello di sviluppo urbanistico giocato sulla densità, la verticalità, gli uffici. Banalmente, la scoperta tardiva del grattacielo in stile Dubai si scontra oggi con temi sanitari piuttosto gravi. Lo stesso ascensore non può più garantire le capienze del passato e chi paga migliaia di euro di spese mensili per i boschi verticali non ha voglia di farsi venti piani a piedi.
Pierfrancesco Maran è assessore all’urbanistica nella giunta guidata da Giuseppe Sala, che ha sciolto la riserva e punta a un probabile secondo mandato da sindaco. «Per noi», dice Maran, «l’importante è che nessuno degli investitori che aveva puntato su Milano prima della pandemia si è tirato indietro a oggi. Eppure il virus è arrivato al punto più alto di uno sviluppo che durava da cinque anni. Nel 2015 c’erano 645 pratiche onerose relative a lavori, nel 2020 sono state 1.060 a dispetto della crisi. Il turismo è raddoppiato da cinque a dieci milioni sulla scia di Expo, mentre città come Atene hanno conosciuto un declino dopo i Giochi. I progetti di Milano-Cortina ci offrono una prospettiva di altri cinque anni. Ciò non significa negare le criticità, i settori colpiti come hotel e turismo, i duecentomila studenti fuori sede che in parte non sono rientrati. Ma il 70 per cento degli investimenti immobiliari esteri sull’Italia rimane concentrato sull’area metropolitana di Milano».
Il milanocentrismo ha creato più di un dissidio con la giunta regionale a guida leghista. Poco prima della pandemia la giunta di Attilio Fontana ha approvato una norma a favore dei costruttori che ha dimezzato gli oneri e ha qualificato come semplici ristrutturazioni anche le demolizioni con ricostruzione. Il totale dice meno 40 milioni di euro all’anno per il Comune in mano al centrosinistra.
Su altri progetti l’antitesi fra regione e città-stato è meno pronunciata. È il caso dell’area ex Falck di Sesto San Giovanni, 1,4 milioni di metri quadrati e un miliardo di euro di investimenti in mano alla società mista Milano Sesto, guidata da Giuseppe Bonomi, avvocato leghista varesino di lunghissimo corso. Qui è partito il primo lotto da 500 milioni di euro con la partecipazione del finanziere arabo Alhokai, del fondo sovrano Kio (Kuwait investment office) e di Prelios, dove si trova un’altra vecchia volpe come Fabrizio Palenzona. A Sesto lavora Hines, il colosso Usa che ha rilevato anche l’investimento sull’area Trotto, quattrocento appartamenti accanto al Meazza per 145 mila metri quadrati.
Comune e Regione convivono anche in Arexpo, la società pubblica con il Mef come azionista di riferimento, che sta convertendo l’area di Rho usata per l’esposizione 2015. Il nome del progetto è Mind, sta per “Milano innovation district” e occhio a pronunciarlo màind, alla anglo-meneghina. Servirà per ospitare un polo di tecnologia avanzata (Human technopole) con il nuovo ospedale Galeazzi, novanta aziende e cinquecento appartamenti per una popolazione prevista di 15-20 mila persone e un miliardo di investimento. L’area è stata data in affitto per 99 anni al gruppo di fondi australiani Lendlease guidato dal comasco Andrea Ruckstuhl e attivo anche a Santa Giulia, in zona sud, insieme al fondo pensione canadese Psp (2,5 miliardi di riqualificazione).
Altro gruppo molto attivo nel panorama dei lavori a Milano è Coima, controllato dall’ex Hines Manfredi Catella con la partecipazione della Qatar investment authority, ha lavorato fra l’altro a porta Volta, al bosco verticale, al padiglione di Unicredit in piazza Aulenti e alla torre Gioia 22 dove si concentrerà Ubi banca. Il colpo più recente di Coima, insieme a Covivio (Del Vecchio) e al gruppo Prada, è lo scalo ferroviario di Porta Romana, destinato in prima battuta al villaggio per le olimpiadi dell’inverno 2026 e comprato per 180 milioni per uno sviluppo previsto di 190 mila metri quadrati. Con un margine netto di mille euro al metro quadrato, ridicolo per la zona, l’investimento è ben oltre il pareggio.
Fra le spine dell’amministrazione uscente c’è una politica di affitti calmierati che ancora non decolla e sulla quale lavora Gabriele Rabaiotti, assessore alla casa e urbanista del Politecnico. Lo sviluppo a danno del territorio e a beneficio dell’edilizia di lusso è alla base della controversia intorno al nuovo stadio di San Siro. Milan e Inter, due club con azionariato estero, non intendono ristrutturare il vecchio impianto come, per esempio, ha fatto il Real Madrid con il Bernabéu, perché sostengono che i costi sarebbero doppi (600 milioni di euro) rispetto all’abbattimento con la realizzazione di una struttura nuova, come ha fatto la Juventus con il vecchio Delle Alpi. Sebbene non ci siano pezze d’appoggio progettuali a giustificare costi tanto spropositati, i club minacciano di abbandonare l’area e di lasciare una cattedrale nel deserto dove è stata da poco aperta una fermata della Metro 5. È in gran parte un bluff ma la giunta non pare intenzionata a vederlo.
«Lo stadio di San Siro», dice Enrico Fedrighini, consigliere di maggioranza contrario alla demolizione, «è un caso unico in Europa. Il nuovo impianto occuperebbe soltanto il 14 per cento della superficie con un bypass totale di tutti gli strumenti urbanistici che, con l’ariete della legge sugli stadi, relegano il Comune a un ruolo meramente notarile».
Il rischio sempre incombente è di trasformare Milano in una città vietata ai meno abbienti, messi in fuga dai prezzi e dalle nuove possibilità di telelavoro.
URBE IMMOBILE
Non che Roma non abbia pagato dazio alla pandemia, al contrario. Giovanni Caudo, ex assessore con Ignazio Marino sindaco, professore di progettazione urbanistica all’università di Roma Tre e lui stesso minisindaco del municipio III (zona nordest), sarà fra gli sfidanti al Campidoglio attraverso le primarie del Pd che per ora non sono certe.
«C’è una riflessione urbanistica generale», dice Caudo, «sull’eredità del Covid-19. Milano e Roma stanno reagendo in modo diverso. A Milano, che ha puntato molto sulla densità, la verticalità, gli uffici la crisi è legata al lavoro digitale. A Roma il virus rischia di essere l’unico fattore di cambiamento profondo mentre assistiamo al declino del turismo di massa con i suoi oltre 20 milioni di visitatori all’anno che forse si rivedranno fra due o tre anni. Il risultato è un centro storico che, nel perimetro delle mura aureliane, ha solo 140 mila abitanti su 2,8 milioni totali e 12-13 mila stanze in affitto breve. Oggi alcuni vendono e chi compra rifà la casa. L’urbanistica è ferma e i privati lo hanno accettato. La dimensione fisica della nuova città, che a Roma ha ancora ampi spazi naturali, va integrata con la città digitale. Forse il ritardo può salvare Roma dal fallimento».
Con la giunta Raggi si è certamente approfondito il gap infrastrutturale rispetto alla capitale del nord e la terza linea metropolitana si è fatta notare, oltre che per i suoi ritardi, per la crescita del contenzioso fra committenza pubblica e consorzio appaltatore fino a quota 700 milioni di euro.
«Milano è sempre più avanti nella politica dei trasporti», dice Valter Mainetti di Sorgente group. «Avere perso le Olimpiadi è stato molto negativo per Roma. Vedremo con la nuova giunta. Quella uscente è stata ferma per quattro anni. I bed and breakfast sono andati malissimo e molti palazzi da uffici del centro stanno diminuendo gli spazi per agevolare il lavoro a distanza. C’è stata qualche spinta dalla conversione in alberghi di immobili storici come l’ex Poligrafico di piazza Verdi o l’ex sede Bnl di via Veneto. Ma bisogna chiedersi, con la crisi del turismo, di quanti hotel a cinque stelle lusso ha bisogno Roma».
La risposta parziale la dà l’ultimo piano di riqualificazione dell’ex caserma di via Guido Reni al Flaminio approvato dalla giunta Raggi poco prima di Natale. Il piano di sviluppo prevede la partecipazione di Cdp investimenti con 35 mila metri quadrati di edilizia residenziale ma si è persa traccia del Museo della scienza.
«Dopo il virus sta cambiando la percezione di investimento», dice il costruttore Enzo Bonifati, che ha base a Roma e progetti in fase di sviluppo all’Eur e sui Navigli milanesi. «La differenza ormai la fanno i fondi che si finanziano con mezzi propri o sul mercato dei capitali. L’imprenditore con la licenza del Comune che va in banca a chiedere il mutuo appartiene al passato o a realtà di nicchia. Anche la domanda è cambiata prima con lo sviluppo della logistica dei depositi e-commerce, poi con il lavoro a distanza che porta a cercare spazi più ampi per le abitazioni. Per adesso tengono gli immobili di pregio, sia a Roma sia a Milano, ma non dappertutto. In piazza Gae Aulenti, nel nuovo centro direzionale milanese, le villette rimangono vuote e il bosco verticale costa tantissimo. Sullo sport come volano di rilancio non ci farei troppo affidamento. L’operazione Tor di Valle aveva senso solo per aumentare le garanzie di un indebitamento e rinnovare il Flaminio è un costo enorme. L’unica operazione sensata è il recupero della Città dello Sport con capitale pubblico-privato».
Nella capitale rimangono a trainare il mercato le grandi ristrutturazioni commerciali come la Rinascente di via del Tritone e il megastore Apple di prossima apertura in via del Corso. Se no, c’è il nuovo mall del Maximo al Laurentino, realizzato dallo slovacco Radovan Vitek del gruppo Cpi su terreni appartenuti al gruppo Parnasi. Il re dell’immobiliare dell’Europa orientale ha deciso di fare la differenza anche in Italia. Per adesso ha trovato qualche inciampo con lo stadio giallorosso e in Puglia con una sua società legata alla vecchia gestione della Popolare di Bari. Il tema vero è questo. Quanto sarà possibile per la politica locale governare processi urbanistici condotti a colpi di miliardi di euro? La serie storica non lascia molto spazio all’ottimismo.