«Gli anni Dieci del nuovo secolo hanno evidenziato che la democrazia italiana è gravemente malata», avverte il segretario del Pd Enrico Letta, intervistato dal direttore dell'Espresso Marco Damilano in occasione della prossima festa della Repubblica, il 2 giugno, 75 anni dopo il referendum che ne segnò la nascita. «Per questo guardiamo con nostalgia alla fase del bipolarismo centrodestra-centrosinistra, Berlusconi da una parte, Prodi e l'Ulivo dall'altra, con la legge elettorale Mattarellum che consentiva una partecipazione più lineare e le maggioranze stabili. Nei Dieci ci sono stati sette governi e sei premier in dieci anni, un record probabilmente assoluto. Nello stesso periodo la Germania ha avuto la stessa cancelliera, l'Olanda uno, la Spagna due primi ministri. Cito paesi con un sistema istituzionale e politico non lontano dal nostro. Aggiungo: cambi di governo e di maggioranza. Fino ad arrivare a questa legislatura, agli ultimi tre anni con maggioranze diverse. È un guaio per il Paese. Per questo metto in campo quattro proposte. Una battaglia contro il gruppo misto di Camera e Senato, dovrebbe essere un faticoso purgatorio, è un paradiso per parlamentari che fanno quello che vogliono e senza alcun controllo: al suo posto, il gruppo dei non iscritti, come nel Parlamento europeo. La sfiducia costruttiva per sostituire un governo con un altro, come in Germania: non si può fare se non indichi già la nuova maggioranza. L'applicazione dell'articolo 49 della Costituzione per regolare la vita dei partiti. Una nuova legge elettorale: non entro nei tecnicismi, ma la malattia democratica si è acuita con le liste bloccate e i criteri di cooptazione e fedeltà. Il cittadino arbitro, per dirla con Roberto Ruffilli, è stato espropriato, non decide né i governi né i parlamentari. Queste sono le cose urgenti da fare. Tutte le forze politiche dovrebbero sentire la serietà e la gravità di queste questioni, prendersi impegni, guardare oltre il presente, smettere di essere sempre in campagna elettorale e di scaricare sui governi i problemi interni».
Sul ruolo del governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi Letta aggiunge:
«Abbiamo la fortuna di avere ai vertici delle istituzioni, alla presidenza della Repubblica e alla presidenza del Consiglio, le due figure che rappresentano il meglio che oggi l'Italia sappia esprimere. Io penso che sia importante che accompagnino questo processo in cui al Recovery che significa risorse, lavoro, sostenibilità ambientale, si aggiunga anche un'azione per guarire la governance del Paese e rendere la nostra democrazia meno malata». In che modo? «Vorrei che con gli altri leader politici parlassimo di questi temi che sono di natura parlamentare. È interesse di tutti. Il governo fa bene la sua parte. Sulla riforma della giustizia sta avvenendo qualcosa di molto importante. Stiamo mettendo le basi per risolvere a questioni che attendono da decenni. Lo scontro sulla giustizia ha bloccato il Paese. E la necessità di superare i blocchi è fondamentale per far sì che il Recovery poggi su gambe vere».
Letta torna anche sulla sua proposta di dote per i diciottenni:
«A me preoccupa che ci possa aspettare un futuro inquietante di inverno demografico. I giovani vivono le conseguenze di un decennio terribile. Una larga parte dello spettro politico ha messo in scena rispetto alla mia proposta il trionfo del benaltrismo, potrei elencare almeno dieci “serve ben altro”. Succede quando si tocca la rendita. Perché la tassa di successione per i più ricchi è la rendita, fu il governo Berlusconi a toglierla, c'è nella stragrande maggioranza dei paesi europei. Parlarne non significa attaccare quanto è stato costruito con il sudore della fronte, ma al contrario chiedere a chi eredita senza sudore beni milionari un contributo per i giovani che non hanno nulla».
Infine, il ruolo del Pd:
«Il country party è una definizione di Beniamino Andreatta che vorrei per il mio Pd. Il partito del Paese, del popolo, è una stella polare della mia azione, in antitesi al partito del potere che negli ultimi dieci anni nostro malgrado abbiamo dovuto interpretare, per evitare degenerazioni del sistema, come è accaduto nel 2019. Sono le elezioni che decidono chi sta in maggioranza e chi all'opposizione. Lanceremo a luglio il semestre di grande dibattito sul futuro della democrazia italiana, le Agorà democratiche, aperte agli interni al Pd e agli esterni. Lavoreremo su una piattaforma digitale che consentirà di far partecipare migliaia e migliaia di persone. Le Agorà ci dovranno dire come sarà digitalizzato il nostro futuro politico. Come cambierà il ruolo delle sedi fisiche, il ruolo dei militanti. La democrazia va sul digitale. Il web aiuta ad accorciare le distanze, avvicinare i territori più remoti, le periferie. Prossimità e sostenibilità si tengono insieme».