Il dibattito
A differenza delle roboanti dichiarazioni dei padri fondatori, il popolo dem non vuole lo scioglimento né alleanze al buio, ma più partecipazione e democrazia interna. Queste sono le lettere inviate al Nazareno dopo la sconfitta elettorale
di Carlo Tecce
Si potrebbe pigramente annotare che si tratta di “lettere a un partito mai nato”. Che peraltro fu il titolo di un libro di Francesco Rutelli, illustre fondatore dem, dato alle stampe nella fase di concepimento di Api, la presto dimenticata Alleanza per l’Italia (2009). Oppure si potrebbe cinicamente osservare che si tratta di “lettere a un partito già morto”. E invece elettori e militanti del Pd, a differenza di previsioni, psicanalisi, sondaggi, non hanno reagito con la frenesia della classe dirigente che si addenta in Direzione e si avventa sul Congresso. Va ammesso: la distanza emotiva non sorprende.
In questi giorni alla casella di posta (non soltanto elettronica) del segretario uscente Enrico Letta sono arrivate centinaia di lettere, l’Espresso ne ha visionate decine e ve ne propone un campionario.
Ci sono le critiche, aspre ovvio; ci sono gli attestati di stima, forse più del previsto; non ci sono, e qui si disintegra il pensiero dominante, troppi rimpianti per il campo largo diventato “camposanto” o accorati appelli a repulisti e scioglimenti. Il contrario. Al Nazareno elettori e militanti spediscono in maniera spontanea - non inseguiti per strada o scovati nei circoli - messaggi di orgoglio per replicare anche al segretario che ha convocato il congresso. Il popolo democratico cerca la rifondazione di qualcosa che è nato, perché nato è, parecchio storto. Non cerca la fondazione di qualcosa di nuovo, perché nuovo non lo sarà mai davvero, per illudersi ancora.
Tommaso sfoggia una profondità politica che al Nazareno hanno smesso di adoperare da tempo: «Tralasciando la questione delle mancate alleanze, la mia attenzione va alla campagna elettorale che è stata sbagliata e per la quale serve autocritica. La proposta elettorale è stata caratterizzata troppo da tematiche massimaliste e tipiche di battaglie identitarie del ’900. A ciò si sono aggiunte dichiarazioni estemporanee sul recente passato e la strategia della denigrazione dell’avversario: poca contemporaneità e prospettiva, oltre che il mancato coraggio di un giudizio serio sull’operato del governo Draghi. Non è inoltre opportuno sottacere sulla modalità “chiusa” di scelta delle candidature e l’imposizione di troppi nominati nel prossimo Parlamento, e peggio ancora di esponenti politici, senza una casa sicura sopra lo sbarramento, nelle liste del Pd che allo stesso tempo non ha però dato ospitalità a energie nuove individuabili fra la società civile, l’associazionismo e i mondi produttivi. Altri elementi di riflessione che rimetto alla tua attenzione riguardano l’annuncio di un Congresso Costituente e l’assenza di novità nelle quattro fasi proposte. Un congresso in stile secolo scorso, camuffato da moderno sarebbe un errore imperdonabile non sanabile dalla sola proroga del tesseramento - che proponi come prima fase - probabilmente idonea a dare una casa a chi ha già avuto un seggio gratis in Parlamento o a far rientrare in silenzio ex esponenti del Pd».
Claudio stringe a sé il 19 per cento e respinge l’istinto (auto)distruttivo che abita a sinistra: «A differenza di quanto sta accadendo, io volevo distinguermi e complimentarmi con lei. Sì, lo dico sinceramente, perché penso che lei abbia fatto il possibile, rimanendo nei confini della decenza. Si può perdere con dignità e decoro, perché a forza di seguire sondaggi e pancia dell'elettorato questo Paese non riconosce più cosa sia giusto o sbagliato, di buon senso oppure no. Stiamo diventando tifosi, come nel calcio. Si riflette sempre meno e si vota sempre più con disinvoltura. Sufficienza. Adesso c'è chi sostiene che sia indispensabile cambiare nome e sciogliere il partito. Tutte cose assurde che purtroppo avvengono sempre e soltanto a sinistra. Questo male endemico che ci porta all'autolesionismo non lo capisco e francamente mi stanca anche un po'».
Filippo della provincia di Firenze è fermamente convinto che i Cinque Stelle siano forestieri da non accogliere: «Non sempre le buone e giuste idee riescono vincenti, ma non per questo in caso di sconfitta devono essere rinnegate. Era giusto non legarsi a movimenti inaffidabili (M5S), aprirsi invece alla sinistra (Fratoianni e Bonelli), cercare convergenze verso il cosiddetto “terzo polo”: non è andata bene, pazienza. Occorre dirlo: eravamo nel giusto, ma di nuovo è uscita fuori l’anima conservatrice e populista dell’Italia».
La questione Cinque Stelle è divisiva, Carlo è la nemesi di Filippo: «L’Italia vi ha punito per la vostra arroganza e perché vi siete divisi dai 5S quando potevate lavorare insieme. Se volete potete rimediare e lavorare di nuovo insieme e basta con l'arroganza che non vi porta da nessuna parte». Teresa, altra toscana, indica a Letta la struttura dirigente: «Sai meglio di me che il problema del Pd non è il segretario. Da tempo, parlo da iscritta, il partito si logora in guerre tra bande ed è diventato un ceto governativo perdendo contatto con la società. Vivo in Toscana e lo tocco con mano». Davide da Piacenza inorridisce alla parola congresso, snodo che conduce a partiti più piccini non più inclusivi: «La soluzione non è il congresso. Un congresso ci porta a dividerci su mozioni e tesi e organigrammi a livello nazionale, regionale e locale. Difficile confrontarsi su scenari, temi, obiettivi e pratica politica. Quindi il congresso a nulla serve se non a dividerci ulteriormente a dismettere un pezzo di gruppo dirigente. Facciamo fuori un segretario dopo l'altro. Poi finiranno anche le persone adeguate».
Anche Marco da Vercelli, e sono tanti, probabilmente la maggioranza, non si fida delle antiche liturgie di partito: «Il passaggio congressuale, che dovrà essere in primo luogo di rifondazione o di ricostituzione, deve essere riservato completamente agli iscritti al Partito. L'attuale organizzazione congressuale riserva agli iscritti solo la scelta della “linea politica”. La scelta del segretario, magari fra due candidati con linee programmatiche opposte, viene offerta agli elettori, ai simpatizzanti, finanche a forze politiche antagoniste purché ben organizzate, che potrebbero quindi eleggere segretario - alle primarie - il candidato sconfitto nella competizione riservata agli iscritti. Da questa consapevolezza nasce anche il distacco di molti iscritti alla vita attiva di partito. Ritengo sia necessario portare la scelta dell'identità del Partito, della linea politica e del segretario nella disponibilità dei soli iscritti; sarà poi compito del segretario eletto far avvicinare al Partito i simpatizzanti, gli elettori e i cittadini che si riconosceranno nelle nostre proposte».
Sergio da Brescia vorrebbe separare le cose e rimetterle in due cassetti distinti della storia politica della Repubblica: «Sono di sinistra e per questo, a fronte dei risultati ottenuti, credo che il progetto “centrosinistra” non abbia più spazio, non vedo più le condizioni perché il “centro” ha sminuito alcune cose e la “sinistra” ne ha sminuite altre, la somma non può dare più alcun vantaggio. Forse sarebbe opportuno che si tornasse ad avere una Dc ed un Pci entrambi forti ma con idee chiare. Ognuno per sé e poi al momento delle elezioni si vedrà come lavorare per creare uno spazio comune». Per Valentina, in qualche modo, Meloni è un’ispirazione: «Io vi dico grazie per non esservi alleati con M5S solo per tentare di vincere le elezioni. Non sarebbe stata un’alleanza credibile e nemmeno duratura. E se c’è bisogno di qualcosa in questo Paese è la stabilità. Il M5S ha rotto l’alleanza che teneva in piedi il governo Draghi. E la loro politica non rappresenta gli elettori del Pd, perciò grazie per essere stati fuori da questa improbabile Unione. Rivendicatelo, almeno questo. Giorgia Meloni vince anche per la coerenza, è ora di essere coerenti anche a sinistra!».
Silvia ha paura che si tenti un fatuo colpo mediatico: «Fai qualcosa di davvero progressista e rimani. Hai costruito una linea di partenza, hai lavorato, imparato, sbagliato, capito. Su tutto questo il Pd ha bisogno di capitalizzare. Se tu abbandoni, si cambierà segretario per non cambiare nulla. Il Pd deve andare avanti, non cominciare sempre da capo. E poi sono i livelli intermedi che non funzionano, sono i salotti romani che vanno ripuliti, non i vertici. E non seguire le sirene della donna segretario. Quello è un altro tema. Tu rimani sul tuo e riforma il Pd. Vedrai che le donne avranno un ruolo centrale in questo». La sigla a un dirigente dem: fare opposizione non vuol dire fare sempre l’opposto di quello che si aspettano elettori e militanti.