«Bisogna avere il coraggio di muoversi. Il dato euforico è scattato, soprattutto dopo l’elezione del Capo dello Stato. Non perdiamo altro tempo». Clemente Mastella in questi giorni di ritrovato entusiasmo centrista sembra tornato ai vecchi tempi, agli anni dell’Unione e di quando si sentiva ed era l’ago della bilancia delle sorti politiche del Paese pur con la sua sparuta truppa al seguito. «Oggi possiamo finalmente guardare avanti, a un grande centro moderato e liberale che prenda l’eredità di un’area che non è più occupata solo da Forza Italia», dice mentre in auto va a Roma per una girandola di appuntamenti in programma nella sua agenda. Perché nonostante il ritorno in campo di Silvio Berlusconi che vuole diventare lui il perno di un’area moderata legata al centrodestra e la conseguente frenata sul progetto centrista di Pier Ferdinando Casini, andato subito a baciare la pantofola al gran capo azzurro convalescente dopo il crollo di nervi per il flop quirinalizio, il cantiere per costruire una nuova casa in mezzo tra Lega e Pd è comunque aperto: e ci lavorano davvero Mastella, Matteo Renzi, Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello. Sono molto attivi in questi giorni nel tessere trame per cercare inquilini ma anche e soprattutto finanziatori. Perché senza soldi non si canta messa e se davvero si vuole provare a costruire qualcosa di alternativo alla Lega e al Pd, e allo stesso tempo non fare più conto sulle disponibilità dell’area berlusconiana, occorre dialogare e avere dalla propria parte un pezzo importante del mondo economico e finanziario del Paese. «Lei non sa quanta attenzione stiamo ricevendo in queste settimane da parte di piccoli e medi imprenditori, legati al mondo dell’Ance (l’Associazione dei costruttori, ndr) e delle Camere di commercio, al Nord ma soprattutto al Sud, perché c’è voglia nel Paese di avere un riferimento moderato e liberale», ripete il senatore Quagliariello, anche lui incollato al telefono per sondare, capire, fissare incontri e lavorare alla tela. Come riferimento al quale chiedere un soccorso e un obolo c’è in primis il solito mondo economico e finanziario che si è bruciato con l’esperienza di Scelta Civica di Mario Monti: da Emma Marcegaglia a Luca Cordero di Montezemolo, solo per citare alcuni attori di rilievo. «Ma questa volta prima di mettere un euro su un nuovo partito o movimento ci penseranno due volte e, in ogni caso, un po’ hanno già investito su Carlo Calenda», dice un lobbista di lungo corso grande amico di Casini e dell’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Renzi. Non è un caso che il primo a dire no a qualsiasi federazione di centro, che non abbia lui medesimo come faro e protagonista, sia stato proprio Calenda: «La parola centro mi fa schifo», ha detto. «Ma certo, se Renzi, Toti e Mastella vanno avanti davvero alla fine chi perderà peso, e finanziatori, sarà proprio lui, Calenda», aggiunge il lobbista di casa tra Montecitorio, Palazzo Madama e la Galleria Alberto Sordi, al centro di Roma, la terza camera di questo Paese.
CACCIA AI FINANZIATORI
Il tema economico è un passaggio chiave, molto più della legge elettorale e del possibile ritorno al sistema proporzionale: «Non facciamo partiti seguendo le leggi elettorali, non avrebbe senso e sarebbero solo operazioni di palazzo, noi vogliamo ben altro», ribadisce Mastella. Dunque, si va avanti anche senza proporzionale. Ma senza soldi? No, questo è più difficile. Non a caso l’ex leader dell’Udeur e sindaco di Benevento ha ripreso in mano la sua rubrica economica per sondare un sostegno vero ed esterno, diciamo così. «Glielo dico con chiarezza, ne ho parlato con Diego Della Valle e suo fratello Andrea e anche con Montezemolo, d’altronde siamo amici da una vita, abbiamo rapporti personali di vecchia data ed è chiaro che con loro ho discusso di questo nostro tentativo di dare stabilità politica e rappresentanza a tanti moderati che non si riconoscono più solo in Forza Italia e men che meno in una Lega che fa da federatore dei moderati». Mastella confida molto poi sul duo Renzi-Toti: entrambi nella raccolta fondi tra aziende e imprese hanno dimostrato di saperci fare rischiando anche di impelagarsi, vedasi le indagini in corso sulle loro vecchie fondazioni, Open e Change. Toti fa conto sul mondo economico con base Liguria che lo ha già fortemente aiutato nella rielezione a governatore, dai petrolieri Costantini di Europam e al gruppo Black Oil, dall’armatore Gianluigi Aponte al gruppo Grimaldi. E, ancora, l’imprenditore ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini. Toti ha spiegato a tutti loro il progetto del centro e le prospettive che si potrebbero aprire nei prossimi mesi e che si sono in parte aperte già con l’elezione del Quirinale. Renzi poi può contare sulle sue solide relazioni con Davide Serra e Lupo Rattazzi, suoi storici finanziatori e ben interessati a sostenere un terzo polo con Draghi come riferimento al governo e, perché no, al Quirinale tra qualche anno. E poi c’è il mondo che ha sostenuto Calenda che guarda con interesse a quello che si muove al centro: il patron di Prada, Patrizio Bertelli, la famiglia Zegna, Alessandro Banzato presidente di Federacciai, Alberto Bombassei del gruppo Brembo, i Merloni della Ariston, Gianfelice Rocca della Techint.
IL PROBLEMA BERLUSCONI
In realtà ai movimenti al centro, e allo schema Draghi che con un polo forte moderato resterebbe certamente al governo anche dopo il 2023, guardano anche grandi imprenditori come Urbano Cairo e Francesco Gaetano Caltagirone, e banchieri che seppur in pensione hanno solidissime relazioni nel mondo della finanza. Come Giovanni Bazoli, che in questi giorni ha intensificato i suoi contatti con Casini. Ecco, Pier Ferdinando: il trio Renzi, Toti, Mastella fino a qualche giorno fa contava molto sul ruolo di Casini come padre nobile del progetto. E la sua elezione al Quirinale, per la quale Renzi si è speso moltissimo, sarebbe stata un terno al lotto, considerando anche che fino a qualche settimana fa Forza Italia sembrava ormai finita con Berlusconi fuori gioco. Ma l’elezione è saltata e proprio Berlusconi nelle ultime ore sembra tornato il Caimano pronto ad azzannare chi lo dà per finito: lui è ancora della partita e con le sue leve finanziarie e imprenditoriali può creare problemi a tutti. Ne ha avuto subito una prova Giorgia Meloni, con la fawta contro i rappresentanti di Fratelli d’Italia nei programmi Mediaset; e a breve potrebbero averne un assaggio anche quelli che pensano di fare il centro prendendosi i resti di Forza Italia.
Il primo a capire che con Berlusconi in campo non si può fare granché è stato proprio Casini, che è andato subito a far visita al vecchio leader di Forza Italia e ha detto, in plurime interviste, che il progetto centrista di Renzi e compagnia non è la sua «tazza di tè». Subito dopo Luigi Brugnaro ha rilasciato una intervista nella quale prende le distanze da qualsiasi deriva che non sia saldamente ancorata al centrodestra. E senza Bugnaro il sostegno economico al progetto perderebbe un tassello importante, vista la disponibilità finanziaria diretta del sindaco di Venezia e i suoi ottimi rapporti con Confindustria, da Vincenzo Marinese che guida gli imprenditori veneti al presidente nazionale Carlo Bonomi. Tradotto: con Berlusconi di nuovo in campo qualsiasi progetto di centro deve restare ancorato alla Lega. Concetto ribadito senza giri di parole dall’ex viceministro Gianfranco Micciché: «Io la Lega non la mollo, sia chiaro». Non a caso chi ha capito di dover dare spazio a questo mondo centrista se si vuole evitare che si crei davvero un polo moderato autonomo sono Matteo Salvini e soprattutto le anime pensanti della Lega, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti e il governatore Luca Zaia. Da qui l’idea di costituire una federazione “repubblicana” e l’apertura nelle prossime elezioni amministrative al sostegno di candidati centristi. A maggio si voterà in oltre 900 Comuni, e in un capoluogo di regione importante come Palermo Salvini è pronto a sostenere un moderato come l’ex rettore Roberto Lagalla, oggi componente dell’Udc di Lorenzo Cesa. Un nome sul quale potrebbero confluire anche Renzi, Toti e Mastella che al momento a Palermo hanno in campo il senatore Davide Faraone. Un nome che potrebbe trovare il gradimento anche di pezzi di 5 stelle e di Pd. Insomma, il modello Draghi in scala siciliana. Una cosa è fuor di dubbio: messa all’angolo Fratelli d’Italia sul fronte centrodestra e con la crisi dei 5 Stelle sul fronte centrosinistra, nei prossimi giorni si annunciano grandi manovre soprattutto al centro. E la caccia ai finanziatori delle manovre è già iniziata.