La corsa al Quirinale è stata un gioco allo sfascio di fronte agli occhi del mondo. Per recuperare serve che la conferma di Mattarella rilanci le ragioni dell’Italia in Europa e dell’Europa nel mondo

Si è mosso sull’orlo di un baratro l’intero sistema politico e istituzionale: incertezza, ambiguità, nomi proposti e ritirati come se fosse un gioco senza principi. La disponibilità di Sergio Matterella ha rimesso in ordine un contesto che è apparso senza regole, insensato e privo di bussola.

 

Passata la tempesta si fanno i primi rapidi bilanci. In apparenza il passaggio di sabato 29 gennaio sembra confermare posizioni, ruoli e funzioni nelle più alte cariche dello Stato. Una sorta di gioco dell’oca che riporta il quadro di riferimento al punto di partenza. Ma a ben guardare non è così, lo scossone generale ha mostrato crepe e debolezze profonde, fino a consumare i residui serbatoi di fiducia che attraversano la società italiana. Tutto sulle spalle ben solide del Presidente della Repubblica, come se non fosse neppure possibile ipotizzare la condivisione di responsabilità e compiti.

 

Ma come si può pensare di giocare allo sfascio mentre il mondo guarda agli equilibri italiani nel pieno di una nuova ondata pandemica? E le fatiche degli ultimi mesi e anni dove finiscono? Cancellate con un semplice colpo di spugna?

 

La prova della politica ancora una volta è segnata da inadeguatezza, incapacità di decidere, prevalere continuo di interessi di parte, spesso legati ai destini dei singoli protagonisti o comprimari. I piani di una prima analisi sono almeno tre, si snodano lungo un percorso che abbraccia gli ultimi decenni della storia della Repubblica, nei tornanti più difficili di un tempo incerto.

 

Il primo investe la centralità del Parlamento che registra lo stallo, la bocciatura di possibili candidature, per segnalare il rafforzarsi della soluzione Mattarella in successive votazioni. La sovranità rivela attraverso i grandi elettori una volontà precisa: la continuità del Presidente come garanzia e tutela delle prerogative costituzionali. Un segno di debolezza dei percorsi alternativi, anche a fronte della manifesta indisponibilità del Presidente uscente.

 

Non emerge una trama, una relazione tra le forze politiche, un indirizzo comune dentro una legislatura che ha visto l’alternarsi di due maggioranze alternative con lo stesso Presidente del consiglio per approdare alla fase di un’ampia coalizione sotto la guida di Mario Draghi.

 

Cercare percorsi in Parlamento è diventato difficile, quasi impossibile: troppi veti o resistenze in assenza di un confronto lineare e trasparente, troppi ostacoli pretestuosi e soprattutto troppo spazio agli interessi di fazione che travolgono quelli più generali del sistema paese.

 

Il secondo piano riguarda la falsa alternativa tra le competenze dei tecnici e i percorsi dei politici. Non è la prima volta che emergono distinguo e collocazioni di schieramento. Basti pensare agli anni di Carlo Azeglio Ciampi o al ruolo di Mario Monti nella crisi del 2011. Come si può tracciare una linea netta che collochi i politici da una parte e le competenze tecniche dall’altra? Diventa un esercizio arbitrario, talvolta un alibi che non mette a fuoco la profondità della crisi dei partiti, di quello che è rimasto di culture politiche e formazioni collettive di tradizione antica o di recente costituzione. I decenni che abbiamo alle spalle, dalle fine dell’ordine bipolare, hanno modificato forme e valore della rappresentanza: dalla Repubblica dei partiti a un sistema senza partiti il salto è stato enorme, le ricadute profonde e incontrollabili.

 

Se la tenuta di gruppi o coalizioni passa quasi esclusivamente per calcoli di convenienza, per le proiezioni possibili delle carriere di tanti in cerca di fortune, allora tutto frana in modo incontrollabile. Ridicolo e offensivo l’appello al presidente donna, irresponsabili le proposte che indeboliscono figure istituzionali di garanzia. L’emergenza sanitaria ha messo il sistema con le spalle al muro, tanti in giro per il mondo hanno seguito le vicende della politica italiana mettendo al primo posto la risorsa Draghi come preziosa per l’Italia e più in generale per il peso dell’Europa negli equilibri internazionali. Questo è un punto delicato e decisivo: se la conferma di Mattarella potrà rilanciare le ragioni dell’Italia in Europa e dell’Europa nel mondo allora lo scorcio conclusivo della legislatura potrà essere ancora un tempo utile. Se così non sarà, difficile immaginare pagine migliori per un sistema che ha dato ampia prova della sua inadeguatezza.