L’evento
È la prima premier sul palco dopo Romano Prodi, 27 anni fa. Mezz’ora abbondante di discorso, ordinato e ordinario. Un solo timido applauso quando parla di «assalto inaccettabile dell’estrema destra» alla sede nazionale del sindacato. Nessun punto di contatto. Ma reciproca soddisfazione
di Susanna Turco
L’incontro c’è, ma si tratta sostanzialmente di un (pur cortese) dialogo tra sordi. Con soddisfazione reciproca, della premier ospite e del segretario Cgil Maurizio Landini che l’ha invitata. Giorgia Meloni sale sul palco della Cgil. Prima premier a farlo dopo 27 anni, rimarca lei (l’ultimo era stato Romano Prodi nel 1996). Poco prima, una quarantina di delegati Fiom, come annunciato, avevano lasciato la sala come segno di protesta, uscendo in fila indiana e cantando a squarciagola Bella Ciao. «Ringrazio per l’invito e ringrazio anche chi mi contesta. Ho visto “pensati sgradita”. Non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica», è la frase d’esordio di Meloni. Unica stoccata alla sala, unica concessione all’ironia, unica eccezione al femminile per una premier che, come si sa, preferisce declinare tutto al maschile.
Segue mezz’ora di discorso ordinato e ordinario, a tratti «pedagogico», come nota in sala uno dei delegati: «È venuta qui a spiegarci come si fa il sindacato, lei è così». Meloni racconta i punti salienti della riforma fiscale appena approvata in consiglio dei ministri, spiega che vuol abbassare il carico fiscale e contrastare l’evasione, torna a bocciare il salario minimo, insiste particolarmente sul perché bisognava eliminare il reddito di cittadinanza.
Il tutto avviene nel gelo assoluto della sala. Che come a stare a un ordine collettivo, si impedisce di contestare, ma non condivide praticamente nulla di quel che viene detto dal palco. La distanza del resto è assoluta, non solo politica ma anche culturale. A partire dal fatto che Meloni dichiara di aver voluto essere qui perché è il 17 marzo, il giorno in cui si celebra la «nascita statutaria di questa nazione» e ritiene che «con questo dibattito si possa celebrare l’unità nazionale», dice. «Lei può essere qui a parlare perché è stata eletta, perché in Italia c’è la democrazia, e – indovina - è grazie a bella ciao che c’è», sussurra un altro delegato mentre parla la premier.
L’unico momento di brivido che attraversa la sala è quando la premier ricorda e condanna l’assalto alla sede nazionale della Cgil a Roma, nell’ottobre del 2021, infilando tuttavia «l’inaccettabile attacco degli esponenti di estrema destra alla Cgil» a mo’ di panino tra il ricordo di Marco Biagi, «assassinato dalle brigate rosse», e le «azioni dei movimenti anarchici che si rifanno alle Br». Il riferimento all’assalto alla Cgil suscita comunque l’unico timido applauso della platea, per il resto come si è detto compresa per lo più in una silente dissociazione, che sfoga solo a discorso finito, mentre Landini stringe la mano della premier.
«È assolutamente importante avere la capacità di ascoltare, e poi naturalmente il diritto ad essere ascoltati», aveva detto Landini dal palco introducendo la premier. Ed è questo alla fine il punto. Con questo dialogo aperto, nel momento «più difficile e complesso come mai prima», il segretario generale ottiene di mettere la Cgil al centro della scena e soprattutto del crocevia del dialogo col governo. Giorgia Meloni, che ha accettato l’invito, ottiene a sua volta di aprire un confronto con il sindacato, terreno di cui ha assolutamente bisogno ora che la luna di miele del suo governo scricchiola vistosamente. Soddisfazione reciproca, insomma, per un momento di dialogo che ricorderanno di certo entrambi, nei prossimi quattro anni almeno.