Attualità
24 aprile, 2025

Gli alluvionati? Si arrangino. L’Emilia-Romagna sott’acqua aspetta ancora

Grandi proclami e ristori al lumicino. Tra fondi che non arrivano, pastoie burocratiche, procedure farraginose e rimpalli

È uno dei polmoni verdi della provincia di Bologna, a ridosso dell’estrema periferia del capoluogo emiliano si snoda sui rilievi appenninici nel comune di Pianoro. È la Val di Zena, che prende il nome dall’omonimo torrente. «Adesso è una terra di nessuno: siamo stati abbandonati da tutti», dice l’assessore al Bilancio e ai lavori pubblici di Pianoro, Simonetta Saliera. Questa cittadina conta nemmeno 18mila abitanti. Nella notte tra il 19 e il 20 ottobre dello scorso anno è stata devastata dalla quarta alluvione in sedici mesi in Emilia-Romagna. La terza per Pianoro, dopo le due che hanno messo in ginocchio soprattutto la Romagna nel maggio del 2023 e quella tra il 18 e il 19 settembre del 2024.

 

Ma se per le prime due catastrofi la ricostruzione è iniziata, seppure a rilento, per le ultime due tutto è praticamente fermo, se non fosse per i lavori di somma urgenza che per ora hanno gravato per lo più sulle casse dei Comuni. Il commissario straordinario, infatti, per questi due ultimi disastri ancora non c’è. Il governo non ha modificato la legge 100 del 2023, con la quale è stato convertito il dl 61 approvato per far fronte alla tragedia. Pianoro, altri paesi dell’hinterland bolognese, parte del Reggiano e del Modenese, gran parte del Ravennate, da Faenza a Bagnacavallo, sono ancora in attesa di un accorpamento dei poteri nelle mani del commissario Fabrizio Curcio. Accorpamento essenziale. Senza un quadro normativo, famiglie e imprese non possono accedere al ristoro dei danni mentre i Comuni sono costretti a navigare a vista.

 

Quello di Pianoro (un bilancio di 13 milioni di euro) ha speso 1,4 milioni solo per liberare dal fango vie, piazze, parchi, giardini, scuole. «La nostra disponibilità di cassa», ricorda Saliera. Sulla collina, Pianoro conta oltre un centinaio di frane. E deve rimettere in sicurezza strade smottate: ha stimato una spesa di 5 milioni. «Ne abbiamo per 150 chilometri di nostra competenza: e ogni volta che piove qui vanno tutti in tilt», dice Saliera. Nella Val di Zena, una delle zone più colpite (l’acqua ha superato i due metri), 40 famiglie sono ancora fuori casa. E sono trascorsi più di cinque mesi dall’ultima alluvione. «C’è chi si è arrangiato grazie all’aiuto di amici e parenti, chi ha affittato un’altra abitazione – spiega Pietro Latronico, portavoce del comitato alluvionati della valle – Le inondazioni dell’anno scorso sono state accorpate dalla Protezione Civile: quindi anche chi è stato colpito due volte può fare una sola domanda di contributo di immediato sostegno. Una beffa. Una trentina di famiglie hanno abbandonato la vallata, perché l’ultima piena ha terrorizzato tutti. Qualche intervento di pulizia dell’alveo del torrente è stato fatto ma solo in alcuni punti, mancano ancora la parte alta e quella bassa».

 

Una grossa mano fino a ora l’hanno data i privati con donazioni. Come quella che ha consentito al Comune di ingaggiare ingegneri per presentare alla Regione proposte operative di difesa idraulica. Dopo le due alluvioni del 2024, soprattutto dopo quella di ottobre, che ha provocato anche un morto (un ragazzo di 20 anni), tra governo e Regione si innescò un feroce rimpallo di responsabilità. Con il primo che accusava la seconda di non aver speso come doveva i soldi stanziati dopo il disastro dell’anno precedente. Con la seconda che ribatteva come gran parte delle risorse non fossero mai arrivate a destinazione. «Le emergenze di un Paese si affrontano solo con la collaborazione», dice ora Manuela Rontini, sottosegretario alla presidenza della Regione, braccio destro del governatore Michele De Pascale.

 

Nel frattempo si è arenato anche il piano speciale per la ricostruzione (piano da 4,7 miliardi) approvato nell’aprile dello scorso anno: praticamente impossibile trovare le risorse. Così De Pascale e Curcio puntano ora a un programma pluriennale di opere pubbliche (soprattutto per la difesa idraulica) chiedendo al governo 100-150 milioni di euro all’anno. Intanto è iniziato il confronto su come implementare la normativa per garantire una copertura anche per le ultime due alluvioni. Mentre tutti sperano di poter alleggerire il peso della burocrazia: le procedure per ottenere gli indennizzi messe a punto dall’ex commissario straordinario, il generale Francesco Figliuolo, si sono rivelate troppo complicate. «Abbiamo settantamila tra famiglie e imprese colpite nel maggio 2023 e solo quattromila domande di ristoro: le ordinanze devono essere migliorate», precisa Rontini. Quattromila alla fine di marzo. Poi ci sono tutti quelli tagliati fuori: gli alluvionati del 2024. Come quelli di Bagnacavallo, 16.700 abitanti in provincia di Ravenna: nel settembre scorso, per l’esondazione del fiume Lamone hanno visto l’inferno, soprattutto nella frazione di Traversara, dove l’acqua ha persino fatto crollare le abitazioni. «Almeno 53 edifici sono ancora inagibili e per una quindicina non possiamo intervenire senza un commissario straordinario», dice il sindaco Matteo Giacomoni. Alla pulizia dei campi, delle strade e dei fossi dai detriti ci sta pensando la Protezione civile. «Alle strade da rifare dobbiamo pensarci noi – prosegue Giacomoni – Abbiamo ricevuto tanta solidarietà e la gente si è rimboccata le maniche. Ma non è solo una questione di riferimenti di legge necessari per procedere con le opere pubbliche. Io non so dare risposte ai miei concittadini. Manca completamente una prospettiva. Non sanno se e come devono costruirsi un’altra casa. Non sanno se e come avranno un risarcimento».

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