Televisione
14 novembre, 2025La violenza dei coloni israeliani e la rabbia dei palestinesi al centro del film premiato all'Oscar, che ora arriva in tv dopo due rinvii e una sequela di dure polemiche
Ilan è il militare che Israele ha messo a capo dei reparti dell’esercito incaricati di demolire i villaggi palestinesi nella zona di Masafer Yatta, in Cisgiordania. Basel Adra lo filma mentre a bordo di un pickup bianco dell’Idf entra in un cortile polveroso delimitato dai muri a secco. «Perché?». Il pickup si ferma e i due si guardano immobili mentre Ilan rialza il finestrino, in silenzio. Quella di “No other land” è una storia di contrasti. La scansione metodica dei prefabbricati degli avamposti israeliani, decine di soldati in mimetica che circondano un parco giochi per affiggere un ordine di demolizione alla recinzione oltre cui si intravedono scivoli di plastica e altalene colorate. E un gregge che pascola fra le case mentre sul crinale della collina sfilano i bulldozer. In questa terra sopravvive una comunità di circa duemila palestinesi, sparsi in dodici villaggi, che compaiono sulle mappe almeno da metà Ottocento nonostante Israele sostenga che prima degli anni Ottanta la zona fosse priva di edifici. «Masafer Yatta esiste per una ragione: Siamo persone che si aggrappano alla vita», commenta Basel Adra, protagonista e co-regista del film, mentre racconta che le case bianche incastrate fra le rughe del deserto a sud di Hebron, secondo una corte di giustizia israeliana, dovranno far posto a un gigantesco poligono di tiro per l’addestramento delle forze armate.
In “No other land” il racconto delle violenze dei coloni riesce a condensare tutta la complessità della convivenza fra israeliani e palestinesi nella dura schiettezza delle singole testimonianze. La rabbia e il dolore dei palestinesi sono anche l’impotenza degli israeliani che provano a opporsi alla colonizzazione della Cisgiordania e alle operazioni dell’esercito. «Viviamo a pochi chilometri di distanza, abbiamo la stessa età, ma io sono soggetto alla legge civile mentre Basel a quella militare dell’occupazione», ha sottolineato il co-regista israeliano Yuval Abraham dal palco degli Oscar 2025, in cui il film ha vinto il premio per il miglior documentario.
Spinto dal successo della critica – oltre all’Oscar è stato premiato anche allo European Film Festival e alla Berlinale – nell’ultimo anno il docufilm è arrivato nelle sale cinematografiche di 24 Paesi. In Italia è stato distribuito in collaborazione con Medici senza Frontiere e Amnesty International incassando circa un milione di euro, quasi un terzo del totale. Il prossimo 15 novembre “No other land” verrà trasmesso per la prima volta in televisione in una prima serata su Rai 3, che dovrebbe mettere fine a un mese di polemiche. A fine settembre il direttore di Rai Cinema, Adriano De Maio, aveva reso noto di aver acquisito il documentario con una prima messa in onda fissata per il 7 ottobre, come parte di una strategia volta a promuovere storie «dal forte valore civile e umano». Dall’annuncio sono arrivati due rinvii: il giorno dell’anniversario del massacro di Hamas nei palinsesti si è fatto spazio a una programmazione dedicata al ricordo della strage, mentre due settimane dopo una nuova cancellazione ha causato critiche e un’interrogazione del Partito democratico in Commissione di vigilanza Rai contro il rischio di «censura preventiva o ingerenza politica». Secondo i vertici di viale Mazzini in quel momento c’era la possibilità che «i contenuti venissero strumentalizzati» ma, al di là della dialettica delle polemiche, la messa in onda di “No other land” sulle reti del servizio pubblico sarà un’occasione per valorizzare oltre il circuito dei festival un film che è soprattutto una testimonianza diretta della quotidianità dei territori palestinesi.
Le riprese sono terminate a ottobre 2023, ma è rimasta l’attualità della denuncia del collettivo - oltre ad Adra e Abraham, ne fanno parte il palestinese Hamdan Ballal e l’israeliana Rachel Tzor - che contiene l’appello a promuovere un’azione diplomatica contro l’espansione delle colonie illegali. «Il mio popolo potrà essere sicuro solo quando ci saranno davvero libertà e sicurezza per quello di Basel. C’è un’altra via, ci deve essere una soluzione politica, insieme le nostre voci sono più forti, non è troppo tardi», ha affermato Abraham durante il discorso agli Oscar. Negli ultimi due anni gli insediamenti hanno eroso i territori palestinesi. Sono stati creati nove nuovi avamposti illegali e ormai più di mezzo milione di israeliani vive in una rete di circa 250 colonie con la costruzione dell’insediamento E1, annunciata ad agosto dal ministro delle finanze di Tel Aviv Bezalel Smotrich, che minaccia di dividere definitivamente la Cisgiordania in due aree distinte. Lo scorso 14 ottobre, in un intervento alla Camera dei deputati, Adra ha ricordato come la colonizzazione israeliana sia tollerata dalla comunità internazionale: «Nell’Unione Europea si parla spesso di diritti umani ma i mercati continuano ad essere aperti a prodotti che vengono da terre rubate», ha affermato: «L’Italia ha sempre fatto finta di rispettare il diritto internazionale, finora non ha fatto nulla per trovare una soluzione a tutto questo e per riconoscerci come palestinesi».
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