È una rivoluzione. Un'altra indotta dai nuovi farmaci biologici. E, questa volta riguarda l'artrite reumatoide. Parola di Josef Smolen, reumatologo dell'Università di Vienna e autore, con alcuni colleghi, di un articolo di revisione pubblicato da 'Lancet'.

In realtà, la prima rivoluzione nella terapia della più comune tra le malattie infiammatorie croniche delle articolazioni risale a qualche anno fa, quando sono stati introdotti nuovi farmaci biologici che hanno portato benefici fino ad allora insperati. Tra questi, il metotrexate, oggi farmaco d'elezione per il primo approccio alla malattia, e gli inibitori del fattore di necrosi tumorale. Nonostante i successi, però, niente di risolutivo: non tutti i pazienti, infatti, reagiscono e anche chi ci riesce può avere delle ricadute.

"Ecco perché è fondamentale la ricerca sui nuovi farmaci che, negli ultimi anni, ha portato ad almeno tre molecole di sicuro interesse, come il rituximab e l'abatacept (già approvati dagli organismi regolatori americani ed europei) e il tocilizumab, ancora in sperimentazione", afferma Smolen. I dati parlano chiaro: il rituximab riduce del 50 per cento i sintomi (dolore, gonfiore e rigidità articolari) in un terzo dei pazienti trattati, mentre la combinazione di metotrexate con abatacept o tocilizumab abbatte i sintomi della metà in oltre il 40 per cento dei pazienti. Tutti e tre i farmaci possono portare a un significativo miglioramento della qualità della vita, anche se al prezzo di qualche effetto collaterale.

Certo, non è ancora la cura definitiva, ma avere a disposizione un arsenale terapeutico sempre più ricco aumenta la probabilità che i pazienti possano trovare qualcosa che vada bene per loro. Per di più, queste nuove molecole agiscono su bersagli molecolari diversi rispetto a quelli colpiti dai farmaci tradizionali e possono aiutare a far luce sulle cause del male.

Valentina Murelli