Si dichiara sconfitta ma rivendica le sue scelte. Critica chi oggi fa abiura e "miagola". La signora del "Manifesto" rimpiange solo la storia dell'arte

C'è in Rossana Rossanda una qualità strana che annulla il tempo. Lei non nasconde i suoi 80 anni, le fragilità del fisico, le malinconie della memoria. Ma tu non li vedi. Lei racconta quasi un secolo di passioni e delusioni e tu la senti contemporanea. Lei parla della vecchiaia e della morte e tu noti soltanto la sua capacità di trattare con realismo la caducità umana.

Nulla, in un colloquio che dura a lungo, la farà mai apparire vecchia, neanche i ricordi più remoti e le indignazioni più recenti. Alla fine sai che non c'è età per il vigore intellettuale. La politica, la letteratura, la filosofia e anche la psicoanalisi tengono questa grande donna al di qua degli insulti del tempo, mentre il distacco severo verso gli accidenti del mondo ne fa una voce critica ancora preziosa.

Ci accoglie in una bella casa romana che non le piace. Ha appena traslocato da un piccolo appartamento sui tetti del centro, da cui è stata sfrattata perché i ricchi pagano quei tetti milioni di euro e lei, presa dalle sue passioni, non pensò in tempo a comprarsi una casa. Un po' sospettosa per un'intervista che si chiama sentimentale, ma quasi divertita di essersi decisa una volta tanto a parlare di sé, è ancora invasa dalle emozioni contrapposte per la salvezza di Giuliana Sgrena, per le pallottole americane sugli italiani e per la morte di Calipari. Non possiamo che cominciare da lì.

Rossanda, alla fine vince il sollievo o l'indignazione?
«Sono stata contenta solo per 20 minuti, quelli trascorsi tra la liberazione di Giuliana e la notizia di quell'insensata sparatoria. Ero stata pessimista fino all'ultimo perché il direttore del "manifesto" e Valentino Parlato mi avevano tenuto all'oscuro delle trattative. La riservatezza era più che giusta, intendiamoci, ma io ero molto spaventata».

Trova verosimile l'ipotesi di un agguato?
«No. Solo Pier Scolari ha il diritto di pensarlo e di dirlo. Ha sentito sparare in diretta addosso alla sua compagna e sfido chiunque a rimanere razionale. Ma ritengo che la leggerezza e l'arroganza di un'azione sfuggita a un esercito invasore possano fare gli stessi guasti di un complotto».

Che pensa delle due Italie riunite dalla morte di Calipari? Ha avvertito anche lei questa comunione?
«Nessuna comunione, solo una vera commozione per la sorte toccata a una brava persona. La gente che è venuta alla grande manifestazione per la liberazione di Giuliana è la stessa che piange Calipari, ma che continua a ritenere questa guerra catastrofica. Il governo Berlusconi si è comportato bene nella vicenda ma sbaglia colpevolmente appoggiando Bush. Nella nostra vita abbiamo vissuto solo con il nazismo una tale prepotenza imperiale».

Lei è intatta nelle sue convinzioni? Si sente ancora comunista?
«Sì, sono una comunista sconfitta che non si pente e non miagola».

Con chi ce l'ha?
«Con chi fa abiure per compiacere. Per contrapporsi agli errori di un comunismo che non si curava dei mezzi per raggiungere i fini, la sinistra attuale si occupa solo dei mezzi. Così non propone alcuna idea di società e riesce solo a perdere identità. Certe volte trovo più netto Prodi che Fassino».

D'altra parte la parola comunista è ormai usata come un insulto.
«Insultino pure, è una sciocchezza. Il comunismo ha sbagliato ma non era sbagliato. Il suo scacco riguarda la nostra epoca, non tutta l'umanità. Oggi viviamo un periodo di rapporti talmente iniqui che il mondo dovrà tornare a interrogarsi sulle grandi questioni dell'uguaglianza e delle pari opportunità per tutti gli uomini».

Anche dopo le tragedie e i fallimenti del secolo scorso?
«Non deve ricordarlo a me. Io sono stata tra i primi a criticare l'Unione Sovietica e per questo sono stata espulsa dal Pci, insieme agli altri compagni fondatori del "manifesto"».

Era il 1969. Ancora se ne rammarica?
«No, fu un provvedimento giusto perché ormai non eravamo più d'accordo su niente. E poi non cademmo nel vuoto, ma nella braccia del movimento in un periodo di grande fermento sociale. Questo non toglie che quell'espulsione fu una delle mie grandi perdite».

Ne ha avute molte?
«Tutta la mia vita ne è stata scandita. A cinque anni persi la mia casa di Pola, una bella villa con giardino, perché mio padre, che faceva il notaio e aveva investito tutti i suoi denari nelle cave di pietra istriane, fu travolto dalla crisi del 1929. Due anni fa ho perso Luigi Pintor, compagno, amico e fratello carissimo. In mezzo città perse, persone perse, lavori abbandonati con uno strappo».

Quali lavori ha lasciato?
«La mia vera strada era quella di storica dell'arte, un interesse che mi sembrò totale finché non vinse quello per la politica. Più tardi, nel '63, mi pesò molto non fare più la funzionaria di partito a Milano ma la parlamentare a Roma. Non era il posto per me. Intanto avevo perso due genitori ancora giovani. Le sembrano sufficienti come perdite?».

Nella vita di ognuno ci sono distacchi e lutti. Lei mostra di viverli con una sensibilità più accesa.
«Forse ha ragione. Alla mia età, che è quella dei bilanci, ci sono ancora molte cose che vorrei capire. Una riguarda queste mie antenne sulla perdita così aperte, così indifese. Se non fossi così vecchia, mi piacerebbe andare in analisi per saperlo».

Perché non lo fa? È l'ultima frontiera. Ormai i lettini degli psicoanalisti sono pieni di anziani.
«Mi ferma una lontana interdizione di Pontalis, grande psicoanalista francese e caro amico. Avevo 49 anni quando gli chiesi se era il caso che mi sottoponessi a una terapia. Mi rispose testualmente: "Hai una vita strutturata, ti va abbastanza bene. Meglio non andare a smuoverla". Però, se non costasse così tanti soldi, oggi sarei tentata».

Lei la sa già lunga sui conflitti interiori. Commentando "La marchesa von 0" di Kleist, ha sostenuto ad esempio che la protagonista prova un coinvolgimento amoroso durante lo stupro. Tesi infuocata per una donna che ha fama di essere fredda.
«Le risulta che ho questa fama? Forse dipende dal fatto che sono una donna del Nord, ho fatto un lavoro da uomo e non mi piace mettere le viscere per terra. Ma non sono fredda, ho sempre frequentato le passioni. E le delusioni. Sa quando mi vennero i capelli bianchi?».

Quando?
«Nel 1956, durante l'invasione sovietica dell'Ungheria. Tutta quella vicenda si è coagulata nella mia mente attraverso una foto che mostrava un funzionario impiccato a un fanale, il volto scomposto, e sotto di lui alcuni operai della fabbrica in rivolta che ridevano. Mi dissi: ci odiano. Non i padroni, i nostri ci odiano. Avevo 32 anni e mi ritrovai di colpo sbiancata».

È stata molto bella anche così, e lo è ancora. Se ne è mai compiaciuta?
«Anche questa è una favola. Non sono stata bella e non mi ci sono mai sentita. Del resto i modelli della mia giovinezza erano Greta Garbo e Norma Shearer, mentre io ero grassottella e con i capelli dritti. Una volta, circa dieci anni fa, incontrai a casa di amici Catherine Deneuve e le chiesi cosa si prova ad essere belle. Mi rispose: "Paura di non esserlo più". Almeno questa l'ho scampata».

Rossanda, lei è stata molto amata?
«Le posso raccontare di due matrimoni. Il primo con Rodolfo, figlio del filosofo Antonio Banfi, mio maestro. Siamo stati sposati vent'anni, un po' separati in casa ma molto amici. Ora è morto ed è stato un grande dispiacere. Quando avevo 40 anni ho poi incontrato Karol ed eccoci qui, ancora insieme anche se a modo nostro». Qual è il vostro modo? «Quello di una coppia di una seconda età, senza figli. Passiamo le vacanze insieme e ci sentiamo tutti i giorni, ma teniamo aperte due case, una a Roma e una a Parigi. Ci facciamo lunghe visite, ma sotto sotto siamo due zitelloni che ogni tanto hanno bisogno di spazi separati». Rimpiange di non aver avuto figli? «Non sono mai rimasta incinta. Da giovane ho usato mezzi anticoncezionali rudimentali, antenati spaventosi del diaframma. Ma poi se avessi voluto un figlio, avrei cercato di farlo. La verità è che io di figli ne ho avuti una serqua. Il mio rapporto con i compagni del "manifesto" è in fondo un rapporto madre-figli».

Quindi di odio e amore?
«Mi amano e mi odiano. Mi adorano e mi vorrebbero ammazzare. Spesso sento che mi vedono come una figura interdittiva, una cornacchia che li sgrida. Ma sento anche il loro grande affetto».

Lei compirà tra poco 81 anni. Le pesa diventare vecchia?
«Sì, la vecchiaia è brutta perché ci si stanca come bestie. Tutte le cose che sei abituata a fare ti costano fatica. E poi ti vedi invecchiare come se il corpo andasse per conto suo, fuori dalla sua forma vera».

In che età aveva la sua forma vera?
«Intorno ai 38, 40 anni. Non vorrei mai riavere i diciott'anni, ma quell'età piena e compiuta sì. Penso che sia la migliore della vita».

Ha paura della morte?
«No. Ho solo paura di essere messa in una scatola e portata in giro nelle piazze. Ho visto fare questo a Pintor e l'ho trovato insopportabile».

Lei è una delle poche persone che continua a definirsi atea, altra parola svillaneggiata.
«Già, a differenza di Bertinotti, sono atea come trent'anni fa, anche se credo che ciò che gli uomini hanno pensato di Dio faccia parte della più alta elaborazione umana. Detesto invece l'idolatria che si respira in giro».

A che cosa si riferisce?
«A tutti questi santi, queste madonne che lacrimano. Ma anche il modo in cui questo papa parla di sé e viene trattato dai media. Ritenersi insostituibili è idolatria».

Eppure lei è solita fare lunghi ritiri con religiosi amici. Cosa cerca tra loro?
«L'aspetto sapienziale del cristianesimo, che è straordinariamente affascinante. Quello amoroso non mi interessa. Su quel piano non hanno niente da insegnarmi. In fatto di poveracci, io so tutto».