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12 ottobre, 2006

Il futuro è nero

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Agnes Martin era convinta che le sue opere guardassero al futuro. Perché concepiva la ricerca artistica come guida verso la perfezione, un tentativo di stabilire le coordinate dell'esistenza

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L'ultima volta che, nel 2002, ho incontrato Agnes Martin (1912-2004) era a Taos, New Mexico, dove nel suo studio, ricavato in un pueblo, stava realizzando alcuni dipinti. Superfici segnate da rigorose e sensibili linee di grafite, nonché da aree di colore marrone o grigio, ma dove al centro si presentavano, a sorpresa, riquadri di nero, oppure consistevano di imponenti triangoli neri con la punta gialla.

Un contrasto forte e intenso, soprendente, considerato il percorso minimale del suo lavoro, quasi sempre basato su toni dolci e soffusi di rosa e azzurro e di colori pastello che ricordavano le trame dei tappeti indioamericani, che mi richiamò alla mente gli ultimi lavori di Rothko e di Burri, percorsi, in prossimità della morte, dal colore dell'oscurità e del nulla. Cercai di rivolgere domande su questi quadri e Martin mi rispose che, come tutte le sue opere, guardavano al futuro.

Capii la risposta due anni dopo, alla sua scomparsa, e comprendo ora come l'artista abbia sempre concepito la sua ricerca come guida verso la perfezione, quasi un tentativo di stabilire le coordinate dell'esistenza. Si intuisce perché si sia orientata, intorno al 1960, al discorso fideista e spiritualista di Mondrian: ma il suo intento è sempre stato l'intreccio dell'elemento astratto e intellettuale, tipicamente europeo, con la componente esperenziale e individualista, americana, che ricavava dalla sua esistenza in un territorio, il New Mexico, attraversato da una forte sensibilità per la solitudine e per la natura.

Ecco perché le linee morbide e fluttuanti dei primi lavori, con il tempo e l'età, lasciano spazio a una geometria di linee e di punti che arrivano a creare una griglia, che non è ottica, né formalista, ma istituisce un insieme a tracciare principi universali e una decifrazione mistica e messianica del fare arte, che rimane umana perché tracciata a mano, fino all'indicazione dello spazio nero.

Agnes Martin, Dia Art Foundation, Beacon, New York fino al 5 marzo

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