Vetro, cemento, legno, acciaio. I quattro elementi si combinano in una fantastica alchimia, si espandono su uno scenario di 40 mila metri quadrati e danno subito l'idea di cosa può essere uno sguardo sul mondo, una nuova città culturale globale circoscritta tra gli argini della Senna, il Museo dell'arte moderna e la tour Eiffel. I 40 mila metri quadrati sono quelli del nuovo museo parigino, in quai Branly, costruito da Jean Nouvel e che raccoglie l'arte di cinque continenti: Africa, Asia, Oceania, le due Americhe. Un museo che aspira a definire i canoni universali dell'estetica del pianeta.
Il Musée des arts et civilisation, così si chiama la nuova istituzione, declinato subito in Mac, si inaugura il 20 giugno, a 11 anni da quando era nato dall'idea di realizzare un luogo del 'primitivo', anzi del 'primario'. Lo scopo è quello di mettere in mostra gran parte del patrimonio artistico-etnografico extraeuropeo in Francia, di varare una specie di passerella aperta sul gusto degli altri e di riunire segmenti dell'ex Musée de l'Art de l'Afrique et de l'Océanie (Maao) e del Musée de l'Homme. Il tutto con un'ambizione di diventare il crocevia tra le culture, il punto d'incontro tra Europa e resto del globo ritratto nei cataloghi dagli editori internazionali: Flammarion, Réunion des Musées Nationaux, Acts Sud e Five Continents diretta da Eric Ghysels.
Il progetto di Nouvel è fatto di luce e vegetazione. Ed è stato ridisegnato più volte, come del resto usa fare l'architetto francese. Alla fine sono nati quattro edifici, non simmetrici, che sono caratterizzati da una certa fluidità, ma che danno anche l'impressione di imprevedibilità. Nouvel mette infatti a confronto la solida struttura in acciaio con l'insicurezza della natura, con l'incertezza data da mari, boschi, foreste, fiumi. La costruzione avveniristica comprende la grande struttura principale della collezione permanente e quella secondaria delle mostre a tema.
La prima, la più affascinante, è una passerella sospesa a mezz'aria e tenuta su da 26 piloni, che si espande su 4.750 metri quadrati e ospita le 3.500 opere provenienti da tutto il mondo. È questo scenario di pilastri-alberi-simboli che tiene insieme il museo nel segno e nel sogno di un ponte appeso sulle civiltà di ieri e di domani. Collegata ai fusti diritti e altissimi c'è una struttura a chiocciola, un'appendice in vetro e alluminio, una sorta di corpo connesso allo scheletro primario, dedicata alle esibizioni temporanee. Sul soffitto sono appese le creazioni degli artisti aborigeni australiani.
La vetrina aperta sulla cultura extraeuropea non si ferma all'esposizione fissa né si limita a quelle itineranti che mettono insieme300 mila oggetti. Lo spazio nasce anche per riflettere, contemplare, studiare. E per seguire la didattica, varare esperimenti sul nuovo. Intorno alle teche scintillanti delle collezioni polinesiane (abiti, pitture), indonesiane (marionette, maschere, gioielli), indiane, nepalesi, tibetane (costumi), africane (tecniche di pittura dei tessuti), si sviluppa un polo di ricerca interdisciplinare da campus universitario. La mediateca e la sala di lettura mettono a disposizione un'informazione immediata e fruibile; l'auditorium ospita scenografie, teatro, danza, musiche. Di fronte, una rampa si arrotola a forma di spirale verso l'alto intorno a una colonna trasparente che contiene gli strumenti musicali. Tutto legato al patrimonio estetico, tutto connesso al verde intenso di un mega-giardino di quasi 18 mila metri quadri, un muro vegetale, una quinta che copre la facciata della costruzione.
Se il pianeta ha bisogno di sicurezza, il Mac ha la sua rete di protezione, sotto forma di una palizzata di vetro high tech alta 12 metri e lunga 200, una sfoglia lucida ed enorme che separa la città museale da quella del traffico e del caos urbano. Una struttura trasparente che protegge l'anfiteatro della fusione tra le culture, che divide il mondo della clorofilla, del parco-mostra, del verde dal grigio metropolitano. In una galleria l'allestimento di parasole di pino rosso finemente perforati crea un'atmosfera fluida, lieve, in sintonia con una luce costantemente filtrata al 90 per cento che protegge le opere e riduce l'impatto con il clima.
"Non ho voluto realizzare nessuna prodezza", dice Nouvel, "ho cercato piuttosto un vocabolario architettonico che potesse offrire una lettura di gran lunga più misteriosa rispetto alla percezione immediata che può dare un edificio tradizionale. Ho cercato di rappresentare realmente il ponte tra le culture del mondo. E per questo ho preferito la leggerezza di una struttura metallica". Una struttura fatta in gran parte di materiali riciclabili e che richiama il bisogno di semplicità, di aria pulita, di natura.
Dopo l'emozione che lo spettatore prova di fronte agli oggetti dell'arte globale (quadri, tessuti, sculture), ecco che spunta un giardino costruito con le più svariate piante di tutto il mondo. Nouvel è riuscito a sistemare 17.500 metri quadrati di spazi verdi, il doppio rispetto a quanto era previsto. Così, il giardino del museo è diventato una specie di parco, con roseti, felci, erba, fiori bianchi. E anche sul frontone principale dell'edificio è stata installata una parete fatta di piante rare rintracciate nei cinque continenti da Patrick Blanc, botanico e ricercatore al Cnrs.
Per varare il Mac ci sono voluti cinque anni di lavori, 202 milioni di euro più altri 33 milioni di extra spesi tra restauro delle opere, inventario, mediateca e progetto multimediale. L'ambizione, poi, di attirare visitatori globali si inserisce nella tradizione francese del Centre Beaubourg voluto da Pompidou e realizzato da Renzo Piano, de La Cité des Sciences pianificata da Giscard, della piramide del Louvre che Mitterrand ha chiesto a Ieoh Ming Pei. Il Mac è il monumento voluto dal presidente Jacques Chirac, "destinato a diventare il polo europeo del dialogo tra le culture", come dice il presidente del museo Stéphane Martin. E infatti, l'allestimento parte con due artisti africani, Romuald Zazoumé, Ynka Shonibare e con una mostra dal titolo 'Che cos'è un corpo?'. E intanto Nouvel spiega che cos'è questo museo: "Un luogo dove dialogano gli spiriti ancestrali degli uomini che, inventando divinità e credenze, scoprono la condizione umana". n