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Cultura
dicembre, 2007

Colpi di timone

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Convinto di avere solo pochi mesi di vita il capitano Bevilacqua decide di spenderli alla grande e senza reticenze. Finale a sorpresa

Genova d'argento e stagno. / Di zanzara. Di scagno. / Genova di magro fieno, / canile, Marassi, Staglieno... celebra Giorgio Caproni in "Litania". Lo "scagno" a Genova non è solo l'ufficio nel centro storico della città, è piuttosto un'idea platonica, un archetipo immobiliare: la sineddoche dell'universo degli affari. Ed è il tempio dedicato ai traffici dove proprio i mercanti sono i sacerdoti. Per i genovesi delle generazioni raccontate e incarnate da Gilberto Govi, la misura di tutte le cose. Almeno all'ombra della lanterna. E certamente così è per Giovanni Bevilacqua, commendatore ma prima di tutto capitano di lungo corso e armatore, con scagno in Soziglia. Casa e bottega. Una rampa di scale porta dall'ufficio direttamente all'abitazione del commendator Bevilacqua, collocata dietro le quinte e questo rende più agevoli entrate e uscite nel corso di "Colpi di timone", un cavallo di battaglia di Gilberto Govi. Un cavallo marino piuttosto.

La commedia di Enzo La Rosa profuma di salsedine, lo scagno che la ospita - opera di qualche anonimo ma avveduto scenografo - è di assoluta verità, sfiora il trattato antropologico per la precisione di ambientazione e di arredi, con un giusto tributo al kitsch marinaro: modellini di navi, timoni con dentro il barometro, quadri di golette e velieri alle pareti. Perché il Bevilacqua è navigatore di altri tempi: diffidente nei confronti di imbarcazioni a motore, per la sua sensibilità di vecchio lupo di mare il solo carburante è il vento che gonfia le vele. Proprio durante una rimpatriata con il mare, un viaggetto in nave da La Spezia a Genova, un colpo di timone prende in pieno la cassa toracica del Bevilacqua; le radiografie sono una sentenza di morte in differita. Quei pochi mesi di vita che gli restano il commendatore decide di spenderseli alla grande, mugugno libero. Finalmente può dire quello che vuole, alla faccia delle convenzioni sociali: quello è un ladro, quella una puttana, quell'altro un cornuto. Uno di loro non la prende bene e sfida a duello Bevilacqua, invulnerabile per morte imminente. Colpo di scena: il colpo di timone è innocente, qualcuno ha sbagliato il nome sulle lastre e il commendatore gode di ottima salute. Sarebbe che tutto è bene quel che finisce bene, se non fosse per quel duello, con un campione di tiro alla pistola per giunta. Non sveliamo il finale, una ragione in più per vedere questa commedia dove Govi è superbo come la sua città: burbero benefico di travolgente vitalità scenica, comico con un adeguato retrogusto di malinconia, per esaltare al meglio un testo tra i migliori del suo repertorio. Nel recensirlo Alberto Savinio scrisse: «Rifinita, voltata in agghindati martelliani, questa commediola potrebbe esser firmata Giobatta Poquelin (cioè Molière), e figurare tra le opere minori».

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