Guai a puntare sul Marco

I big del credito hanno investito su Tronchetti Provera 3 miliardi. Ecco perché non vogliono perdere la partita

L'ultima volta che Marco Tronchetti Provera ha investito qualcosa di suo in Telecom Italia risale al 19 settembre 2005. Quel giorno acquistò personalmente due milioni di azioni pagandole 2,58 euro l'una e da allora, salvo una breve fiammata nelle due settimane successive, il titolo non ha mai più rivisto quelle quotazioni. Un piccolo esborso, certo, poco più di 5 milioni in tutto, ma a dir la verità Tronchetti in questi anni è riuscito a mantenere la presa sul gruppo telefonico con un investimento non superiore ai 150 milioni: appena lo 0,5 per cento rispetto al valore borsistico di Telecom. Miracoli delle scatole cinesi. Resi possibili dal sostegno che al presidente della Pirelli è stato sempre garantito da un manipolo di alleati.

Oggi, però, con Tronchetti pronto a uscire di scena, per ironia della sorte proprio questi compagni di strada rischiano di rimanere con il cerino acceso in mano. Generali e Mediobanca, in primo luogo, che hanno sborsato centinaia di milioni per puntellare la traballante catena di controllo del gruppo telefonico. E poi Intesa Sanpaolo e Capitalia, anche loro impegnate, a caro prezzo, per dar man forte al patron di Pirelli. Questi quattro pesi massimi della finanza nazionale in totale hanno investito quasi 3 miliardi di euro in Telecom e ai piani superiori della catena di controllo, fino alla holding Camfin. Presi di sorpresa dall'accordo con la texana At&t e la messicana América Móvil, questi partner finanziari sono costretti a rincorrere gli eventi nel tentativo di limitare al massimo le ricadute negative. In altre parole, se Telecom cambia padrone, e davvero prenderanno il potere i nuovi soci americani, le quote degli (ex?) amici di Tronchetti rischiano di diventare un investimento a perdere.

Finora tutto si è sempre compensato nella logica del salotto buono. Pirelli incassava l'appoggio degli alleati bancari. Ma poi ricambiava il favore partecipando ai noccioli duri di soci che governano snodi decisivi del capitalismo nazionale, come Mediobanca o il 'Corriere della Sera'. Adesso questi schemi vanno rivisti. Quanto meno adattati ai nuovi orizzonti. In altre parole, il grande attivismo di Intesa Sanpaolo e Mediobanca intorno al dossier Telecom serve in primo luogo a tutelare i loro interessi diretti nella partita. La difesa della cosiddetta italianità del gruppo telefonico, invocata a gran voce da una parte del mondo politico, non è certo il principale obbiettivo dei banchieri.

Il dissidio tra gli alleati di un tempo è venuto alla luce mercoledì 4 aprile. La decisione di Tronchetti di silurare Guido Rossi, non ricandidandolo alla presidenza di Telecom, ha spinto Mediobanca e Generali a definire in una nota ufficiale "non condivisa" la scelta di mandare a casa il giurista, chiamato alla guida del gruppo appena sei mesi prima. Una critica non da poco, considerando che tra azioni Telecom, Pirelli e Pirelli Tyre (la neo-società che ha ereditato il settore pneumatici), Mediobanca nel sostegno di Tronchetti ha investito complessivamente circa 790 milioni di euro. E che le Generali ci hanno messo ancora di più: una cifra pari a 1,5 miliardi in Telecom e a 227 milioni in Pirelli, se si ipotizza che tutte le quote - frazionate fra le numerose controllate - abbiano valori di carico uguali a quelli della capogruppo, gli unici noti.

Per fare chiarezza, Mediobanca e Generali hanno dunque chiesto a Tronchetti di convocare una riunione dei grandi azionisti di Pirelli, che dovrebbe tenersi nell'ultima settimana di aprile. A quel punto sarà ormai digerita l'assemblea di lunedì 16 con il contestato rinnovo dei vertici di Telecom. Rimarrà da valutare la consistenza dell'offerta Tex-Mex. Se le probabilità di successo saranno elevate, i soci finanziari dovranno decidere se affiancare gli americani nel nuovo assetto di comando, magari con l'ulteriore appoggio di new entry come il Monte dei Paschi di Siena. O se, al contrario, sparare le ultime cartucce con una cordata alternativa: un'ipotesi che sembra condizionata all'ingresso in scena di un cavaliere bianco. L'attenzione si concentra su due nomi: la spagnola Telefonica e la tedesca Deutsche Telekom.

In ogni caso si arriverebbe al divorzio (in Telecom) tra Tronchetti e i suoi tradizionali partner. Esito finale di una crisi che dietro le quinte si trascina ormai da tempo. Fonti finanziarie interpellate da 'L'espresso' ne fanno risalire l'inizio allo scorso autunno, con Tronchetti nel pieno della bufera politica e reduce dalle dimissioni dalla presidenza di Telecom. In quei giorni Mediobanca avrebbe sottoposto a Tronchetti un piano per rimettere in sesto i conti di Olimpia, la finanziaria (80 per cento Pirelli, 20 Benetton) che custodisce il 18 per cento di Telecom. La proposta prevedeva un aumento di capitale da 3 miliardi, che avrebbe dovuto essere sottoscritto dalle banche. Tra gli sponsor dell'operazione figurava, fra gli altri, il finanziere bretone Vincent Bolloré, capofila degli azionisti francesi di Mediobanca. Il piano però venne scartato da Tronchetti, preoccupato di perdere la presa sul gruppo. E poco dopo lui stesso chiese a Mediobanca e Generali un atto di fiducia: unire le rispettive partecipazioni nella società telefonica in un patto di sindacato.

Entra qui nel vivo il lavorìo delle banche d'affari per consentire a Pirelli di uscire dall'azionariato senza troppi danni. Mediobanca elabora una seconda proposta, che prevede una scissione in due di Pirelli: da una parte pneumatici e residue attività tradizionali, dall'altra Olimpia e Telecom. Un piano accantonato per le prevedibili difficoltà nel fare digerire ai soci di minoranza di Pirelli una soluzione che sembrava studiata apposta per limitare i danni di Tronchetti, che avrebbe potuto disfarsi delle sue quote in Olimpia.

Contemporaneamente esce allo scoperto Intesa, che ha da difendere investimenti per oltre 200 milioni di euro tra Camfin, Pirelli e Pirelli Tyre. La banca presieduta da Giovanni Bazoli si muove con l'obiettivo di aggregare consensi per un'offerta attorno a 2,7 euro per le azioni Telecom in pancia a Olimpia. Un valore molto distante dalle quotazioni di mercato, che allora navigavano intorno ai 2,2 euro. Tronchetti si è affrettato a giocare quella carta, ma non nel modo in cui sperava Bazoli. È bastato lo spauracchio di un blitz tutto italiano per smuovere i pretendenti americani, fin lì ancora indecisi. E adesso che At&t e il loro socio messicano Carlos Slim hanno alzato l'asticella fino a 2,82 euro, Intesa e Mediobanca sono costrette a ricominciare da capo. Nella speranza di trovare un modus vivendi con i nuovi padroni. Americani o europei che siano.

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